Gli investimenti richiederanno tempo e coesione interna. Cose che, ad oggi, mancano. Il silenzio della diplomazia, l’ombra della bomba e l’incognita sul destino dell’Ucraina. Per Mario Giro, già viceministro degli Esteri, la pace “è una costruzione fragile che va continuamente verificata”. Come dice il Papa si deve parlare di pace vera, perché “la pace giusta non c’è mai stata nella storia. Neanche con la seconda guerra mondiale”
Alessandro Guarasci e Guglielmo Gallone – Città del Vaticano
Ieri a Bruxelles, in occasione del vertice straordinario sulla difesa, è stato approvato all’unanimità il piano ReArm Europe, con cui la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen intende aumentare la spesa per la difesa dei 27 Paesi Ue di almeno 800 miliardi di euro. Di questi, 650 miliardi proverranno da una deroga di almeno quattro anni al nuovo patto di stabilità e 150 miliardi saranno garantiti da obbligazioni emesse dall’Ue.
I timori del riarmo
“La parola riarmo ricorda memorie funeste in Europa e ben se lo ricordano i più anziani”, esordisce Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio e già viceministro degli Esteri italiano, parlando ai media vaticani. Ieri la battaglia si è svolta su due temi: “Quale tipo di debito fare nel caso in cui non si faccia debito europeo, come vorrebbero l’Italia e qualche altro Paese. E la libertà dei singoli Paesi di indebitarsi. A livello nazionale non avremo un buon risultato. Proprio per questo motivo il piano von der Leyen porterà a degli sprechi”. Perciò, prosegue Giro, “se riteniamo necessaria una risposta, bisogna andare verso un esercito europeo che unifichi tutti, bisogna fare debito comune europeo che riguardi tutti e bisogna cambiare totalmente, pur sapendo che ci vorranno anni. Anche se noi avessimo a disposizione il miglior strumento militare europeo possibile, la domanda centrale è: come lo si usa? Con quale politica? Su questo siamo ancora indietro, perché non c’è una politica estera comune quindi c’è molto da fare. Ci vorranno decine di anni”.
Il fattore tempo
E qui entra in gioco la prima incognita. Ad oggi secondo l’International Institute for Strategic Studies, l’Ue spende 457 miliardi di euro per la difesa. Tuttavia, oltre l’80 per cento di questi investimenti proviene da piani nazionali e, viceversa, solo il 18 per cento da progetti comunitari. I primi interrogativi riguardano dunque il fattore tempo. Quanto ci vuole per mettere d’accordo le industrie della difesa dei singoli Paesi e farle convergere su un obiettivo comune? E quale istituzione stabilirà l’obiettivo da perseguire, il singolo Stato — ognuno però in base ai propri interessi — o l’Ue — però priva di una politica estera comune? Non solo: quanto altro tempo occorre affinché le industrie comunichino e si coordinino con quelle degli altri Paesi Ue? I processi di riarmo sono lunghi, specie quando promossi all’interno di un’organizzazione tanto frammentata come l’Ue, divisa al suo interno proprio in base alla concezione che ogni Paese membro ha del suo nel Vecchio Continente.
Un’Europa divisa
La cosa non è nuova. Mario Giro ricorda che, se finora non si è fatto un esercito europeo capace di fungere da deterrente, è proprio “perché gli europei non hanno voluto. Tutto è cominciato nel 1954 con la Comunità europea di difesa, un’idea francese che poi i francesi stessi per motivi nazionalistici fecero fallire. E ogni volta che si è posto il problema in vari momenti non si è voluto il riarmo della Germania. La Nato come patto militare è stata una richiesta europea, proprio perché gli europei non si fidavano di loro stessi”. Oggi, questa divisione continua ancora. Forte del proprio arsenale nucleare, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha proposto di metterlo a disposizione dei partner comunitari in chiave antirussa, scatenando peraltro la reazione del Cremlino che ha paragonato il capo dell’Eliseo a “Napoleone e Hitler”, ricordandogli “come è finita” l’invasione della Russia. Su questo tema, come riferito dal quotidiano tedesco “Der Spiegel”, il governo tedesco starebbe avendo contatti approfonditi con Parigi e Londra. Tuttavia, secondo Berlino, una deterrenza comune europea dovrebbe comprendere anche una componente convenzionale fatta di armi di precisione a lungo raggio di cui vorrebbe farsi carico la Germania ma su cui i francesi hanno manifestato un certo scetticismo. Risultato: dal tavolo sul vertice della difesa di ieri è stato escluso il dibattito sull’ombrello del nucleare. Così, mentre francesi e tedeschi discutono su chi dovrebbe gestire l’eventuale arsenale atomico, gettando un’ulteriore ombra in un contesto storico così delicato, il primo ministro italiano, Giorgia Meloni, si è smarcato dal termine “riarmo” dicendo che “non è la parola adatta” perché “il tema della difesa riguarda materie prime e tantissimi altri domini. Stiamo dando messaggi non chiari ai cittadini”. Il solito problema europeo, commenta Mario Giro, notando come “quando si decide a 27, è un po’ come fare una riunione di condominio: è difficile mettersi d’accordo. Qui bisogna fare un salto di qualità nell’unità”.
Divergenze sull’Ucraina
A queste divergenze si è aggiunta poi quella più pesante, non solo diplomaticamente, sul sostegno all’Ucraina. Dopo dieci ore di colloqui concentrati principalmente sulla difesa comune, la dichiarazione finale sull’Ucraina firmata ieri a Bruxelles è risultata piuttosto vaga e, soprattutto, non è stata firmata all’unanimità, vista l’opposizione del primo ministro ungherese, Viktor Orbàn. Dal testo si legge che “per raggiungere la ‘pace attraverso la forza’ è necessario che l’Ucraina sia nella posizione più forte possibile”, ma non si menziona alcuno sforzo militare in più da parte dei 27, soprattutto alla luce della chiusura degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina deciso dal presidente Donald Trump questa settimana. “Oggi la pace è sempre una costruzione fragile che va continuamente verificata”, conclude Giro ai media vaticani, “io sono d’accordo con il Papa che nel messaggio di inizio anno ha parlato di pace vera. La pace giusta non c’è mai stata nella storia. Neanche con la seconda guerra mondiale”. Così facendo, oggi l’Ue conferma di essere divisa sul supporto a Kyiv e continua ad essere al momento tagliata fuori dai negoziati — ucraini e statunitensi s’incontreranno a Riyad, in Arabia Saudita, stesso luogo in cui s’incontrano Russia e Usa, ben lontano dal Vecchio Continente. Come se non bastasse, la guerra sul terreno intanto va avanti. La notte scorsa 67 missili russi di vario tipo e 194 droni Shaheed hanno attaccato il territorio ucraino. Ci sono stati dieci feriti. Le difese aeree di Kyiv hanno distrutto 34 missili e 100 droni, utilizzando per la prima volta anche aerei da combattimento francesi come gli F-16 e I Dassault Mirage-2000.