La copertina del libro
«Ho scritto la mia esperienza per aiutare coloro che stanno vivendo la stessa situazione. I disturbi alimentari sono la conseguenza non la causa del problema».
In occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, di cui l’anoressia e la bulimia nervose sono i più conosciuti e diffusi, Margherita Vaccari, 21 anni, autrice del libro autobiografico Un filo sospeso (San Paolo), cerca di sensibilizzare su un tema «ancora troppo sottovalutato, soprattutto nelle fasi iniziali, per non dire banalizzato, eppure i casi di disturbi alimentari sono sempre più frequenti dopo la pandemia, basti pensare che sono la seconda causa di morte fra i giovani, la prima gli incidenti stradali».
E lo fa raccontando la sua storia personale, quella lunga, difficile battaglia contro l’anoressia che l’ha spinta più volte sull’orlo del baratro: «Ero perfino arrivata a desiderare di morire. Pesavo 31 chili, non avevo più voglia di niente, mi sentivo senza forze e incompresa, soprattutto quando qualcuno, che non aveva minimamente capito che si trattava di un problema serio e invalidante, mi diceva: “dimagrisci perché vuoi fare la modella”. Per chi non riesce a vedere la luce questo stereotipo è mortificante».
Disturbi alimentari e sanità mentale, un legame invisibile su cui, forse, poco si riflette, a partire dalla scuola. «Nel mio caso è stata la depressione la causa del disturbo alimentare, ma può accadere l’inverso, anche se le due cose non sono necessariamente legate», spiega.
Margherita, che nel libro è Emma, oggi è una ragazza che si è reinventata una vita: vive a Madrid e si è iscritta all’università a Studi culturali, con tanti buoni propositi. A differenza delle ragazze che non ce l’hanno fatta, lei è riuscita a sconfiggere i suoi mostri perché la voglia di vivere è stata più forte del male di vivere, perché la sua forza è come la rosa di Santa Rita da Cascia che ha “bucato” la neve, è quella forza che cantava in maniera vibrante Paolo Vallesi: «C’è una forza in noi amore mio / Più forte dello scintillio/ di questo mondo pazzo e inutile / È più forte di una morte incomprensibile / E di questa nostalgia / Che non ci lascia mai / Quando toccherai / Il fondo con le dita / A un tratto sentirai / La forza della vita / Che ti trascinerà / Con sé / Amore non lo so sai / Vedrai una via d’uscita c’è…».
Ma come si è trovata dentro a questo vortice che l’ha risucchiata? «Spesso è la mancanza di avere qualcosa sotto controllo, motivo per cui si inizia a controllare cibo e peso. Personalmente ho avuto molti trasferimenti a causa del lavoro di mio padre, un dirigente finanziario. Ho vissuto in diversi Paesi, anche culturalmente diversi: viaggiare è bello, ma è stato molto difficile sviluppare amicizie, affetti, abitudini». Continua: «Sono nata e cresciuta a Torino fino a dieci anni, le medie le ho fatte in Brasile, poi sono tornata in Italia per il liceo e l’ultimo anno l’ho concluso in Germania».
I primi sintomi a sedici anni, ma la situazione si aggrava un anno e mezzo dopo. «Il senso di solitudine ha giocato un ruolo fondamentale. A un certo punto in Germania il mio gruppo di amici ha iniziato a sgretolarsi, da lì la depressione e il controllo del cibo e dell’allenamento fisico che facevo in maniera ossessiva per bruciare quello che mangiavo. In quel periodo non mi lasciavo neanche più abbracciare da mia mamma. E, quando andavo a farmi la doccia, dalla mia stanza correvo in bagno per non farmi vedere nuda con le ossa che sporgevano. Poi sono iniziati i ricoveri in Italia, quattro, l’ultimo in una comunità a Bologna».
Ma nella fragilità la scoperta inaspettata di essere forte. «Quando ho deciso di guarire ho iniziato a dare molto più valore alla vita. E a capire quante persone mi volevano bene. Alla fine non cambierei nulla di quello che ho passato, perché questa esperienza mi ha fatto crescere, mi sento una persona migliore». Un tema, quello della debolezza e della fragilità, che ricorre spesso nelle lettere dell’apostolo Paolo («Quando sono debole, è allora che sono forte», scrive ai Corinzi). Il dolore è parte integrante dell’esistenza di ciascuno di noi in una forma o in un’altra, come sottintende Margherita, che ha saputo trasformare un ostacolo sul suo cammino in un’opportunità. Non sempre il male arriva per distruggerci, ma a volte per fortificarci. È il buio che ci permette di entrare in contatto con le profondità del nostro essere grandiosamente limitato.
Murakami diceva che «quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita davvero. Ma su un punto non c’ è alcun dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato».