Nevianonline.it
Sito ufficiale della Parrocchia Matrice San Michele Arcangelo. Neviano Lecce.

«La vita eterna è un modo di vivere. Lo stile con cui il Papa affronta la malattia lo dimostra»



Padre Roberto Pasolini durante la predicazione degli Esercizi spirituali alla Curia Romana (Ansa)

«La vita eterna è un modo di vivere la nostra vita. Lo stile con cui il Papa vive la malattia e la vecchiaia lo dimostra. Anche se non era presente in Aula Paolo VI ho avvertito la responsabilità di dire una parola di speranza per la Chiesa nel momento in cui il suo pastore e capo soffre».

Padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa Pontificia, dal 9 al 14 marzo ha tenuto in Vaticano gli Esercizi spirituali di Quaresima alla Curia Romana in comunione con il Papa che ha seguito le meditazioni (che si possono riascoltare a questo link) collegandosi dal Policlinico Gemelli dov’è ricoverato dal 14 febbraio.

Padre Pasolini, che esperienza è stata?

«Molto intensa. L’assenza del Santo Padre ha creato subito un’atmosfera molto particolare perché il grande protagonista verso cui c’era l’attenzione di tutti noi e di tutto il mondo non c’era e quindi, in qualche modo, la sua assenza è stata una presenza per certi versi con cui non potevamo non fare i conti. Personalmente è stato un momento molto forte in cui sentivo l’importanza di dover rivolgere delle parole di speranza anche per la Chiesa, mentre il suo capo sta soffrendo e attraversando un momento delicato e difficile. C’è stata davvero una comunione spirituale che ci fa capire come siamo uniti anche nella distanza: quando un membro della Chiesa soffre o è separato per vari motivi, come, in questo, la malattia e l’anzianità di papa Francesco».

Un’altra novità è che gli Esercizi di quest’anno, a differenza degli anni scorsi quando si svolgevano all’interno di un vero e proprio ritiro fuori dal Vaticano, sono stati trasmessi in diretta sui media vaticani. Ha pensato alle persone collegate?

«Gli Esercizi spirituali comunitari non si facevano più da qualche anno. Si era deciso di farli in Vaticano per permettere la partecipazione di tutte le persone che vivono e lavorano nella Santa Sede. Inizialmente la diffusione dei contenuti doveva avvenire soltanto a livello interno, poi si è valutata la possibilità di estendere a tutti l’opportunità di seguirli in diretta streaming perché arrivavano diverse richieste. C’è stato un ottimo riscontro. Anch’io sono stato raggiunto da tante persone da ogni parte del mondo per dirmi che erano in comunione spirituale con noi. È stata un’ulteriore opportunità di pregare, ascoltare la parola di Dio – perché pregare significa anche questo non solo recitare il Rosario – ma anche aprire i nostri cuori al contenuto della parola di Dio e alla speranza che c’è nella nostra fede, di cui la vita eterna è il punto centrale».

La vita eterna, appunto, è stato il tema scelto quest’anno. Perché, anche tra i credenti, la morte è vista sempre di più come la fine di tutto e un salto nel buio?

«Un po’ perché così è e lo è stato anche per Gesù, mi verrebbe da dire. La morte ha un elemento che intercetta e alimenta le nostre paure perché, essendoci allontanati da Dio, non la avvertiamo più come un passaggio nelle sue braccia. Questa è un po’ la conseguenza del peccato. Poi, però, c’è la conseguenza di un altro peccato, cioè aver perso come cristiani, come Chiesa, sicuramente qui in Occidente, un legame forte con il Battesimo, con l’esperienza della risurrezione, diciamo come atmosfera, come sensazione, come esperienza profonda del cuore già in questo mondo. Il cristianesimo si è allontanato da questo elemento centrale che nel primo cristianesimo invece era proprio l’esperienza del risorgere con Cristo, non nell’ultimo giorno, ma già adesso attraverso il perdono dei peccati, attraverso una vita rinnovata dalla Parola, dalla potenza del Vangelo e dal soffio dello Spirito. Questa esperienza così forte e incandescente è un po’ sfiorita lungo i secoli, questo è il motivo per cui la vita eterna non è rimasta al centro della consapevolezza cristiana e quindi sono diventate più importanti altre cose: i valori, la morale, l’impegno, la carità, i documenti. Tutte cose importanti, senza dubbio, ma che sono collaterali a quello che è il cuore dell’esperienza cristiana: Cristo è risorto e in Lui anche noi possiamo risorgere a vita eterna già in questo mondo».

Qual è il filo conduttore che ha seguito per parlare di questo tema?

«Ho cercato di spiegare che bisogna affrontare il tema della vita eterna non soltanto come un regalo, un destino, un dono che Dio ci farà dopo la morte, perché questo ci potrebbe consolare, sì, ma solo fino a un certo punto. Il Vangelo e gli scritti del Nuovo Testamento insistono tantissimo sul fatto che la vita eterna è qualcosa di cui disponiamo già qui, adesso; è un modo di vivere, è una qualità della nostra vita, che per esempio ci fa imitare lo stile di Gesù, ci fa amare i nemici, ci fa perdonare, ci fa privilegiare l’umiltà del cuore, la semplicità. La vita eterna è un diritto, oltre che un dovere, se vogliamo vederla anche in questi termini, che noi potremmo prenderci il lusso di abbracciare già in questo mondo. E allora l’eternità e anche la risurrezione non diventano, come dire, delle favole, dei miraggi lontani, ma qualcosa che assaporiamo già in questo mondo, perché rappresentano una qualità antropologica del nostro modo di vivere».

Cosa può dire sulla vita eterna la testimonianza di Francesco e, più in generale, l’esperienza della malattia e della fragilità?

«La testimonianza del Pontefice, come quella di tutte le persone che soffrono in questo mondo e attraversano prove di ogni tipo, è un indizio importante sulla vita eterna. Il modo in cui le persone si avvicinano alla morte ci dice molto come sono riuscite a costruire una speranza non solo nelle cose e nell’orizzonte di quaggiù, ma anche in un oltre. Una persona che affronta le prove, la malattia, l’anzianità, la persecuzione, con una certa pace nel cuore, con una certa serenità di fondo, evidentemente sposta l’attenzione da questo mondo alla vita eterna. E quindi le persone che vivono con fede in modo esplicito, come il Papa e tanti altri cristiani, ma anche le persone inconsapevoli di avere un legame forte con Dio che hanno però ascoltato nella loro vita la loro coscienza e il loro cuore e riescono a offrire ugualmente questa testimonianza, sono i segnali più belli del fatto che la vita è eterna e la sua eternità comincia qui».

Che esperienza è e quali talenti ci vogliono per fare il predicatore del Papa?

«Innanzitutto saper parlare a tante persone, quindi il primo talento è quello di saper predicare, di saper costruire discorsi ordinati che si possano ascoltare bene e che riescono a coniugare una certa intelligenza delle cose di cui si parla, quindi un’intelligenza teologica, spirituale, alla capacità di collocare questi pensieri e ragionamenti – che spesso possono risultare un po’ astratti o astrusi – nel cuore della vita umana. Il predicatore deve sapere coniugare bene i concetti all’esperienza umana e di vita delle persone. In particolare il predicatore del Papa deve anche avere una buona conoscenza della teologia, quindi della Rivelazione cristiana e della tradizione, in modo da attingere da questo tesoro riflessioni che abbiano la profondità necessaria per parlare anzitutto al Papa, ai cardinali, ai vescovi, alle persone che si sono messe a servizio della Chiesa mettendoli nella condizione di interrogarsi e aggiornarsi continuamente».

Lei ha assunto questo incarico dal 9 novembre scorso. Com’è cambiata la sua vita, anche personale?

«È cambiata essenzialmente in due modi. Da una parte, questo ruolo mi ha dato subito una grande esposizione mediatica con la conseguenza che tante persone hanno iniziato a cercarmi, capire chi fossi, chiedermi interviste, parole da dire, incontri da svolgere. In secondo luogo, è stato un cambiamento anche rispetto alla mia vocazione francescana perché questo incarico mi porta a essere un po’ più in movimento e quindi la mia vita conventuale, che procedeva tranquilla, ora è sottoposta a tutta una serie di sollecitazioni per cui, come diceva San Francesco, sono diventato “pellegrino e forestiero” molto di più di prima. Faccio continuamente la spola tra Milano e Roma, che sono le mie due residenze in questo momento, ma anche verso altre città in Italia e all’estero per offrire il mio contributo, il mio servizio di predicazione, non soltanto nei momenti istituzionali davanti al Papa e ai cardinali, ma anche in tante altre opportunità di cui la Chiesa e le diocesi possono aver bisogno».





Dal sito Famiglia Cristiana

Visualizzazioni: 0
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

Questo sito web usa i cookies per migliorare la vostra esperienza di navigazione. Daremo per scontato che tu sia d'accordo, ma puoi annullare l'iscrizione se lo desideri. Accetto Leggi altro

Privacy & Cookies Policy