Una scena del documentario dove Liliana Segre dialoga con uno dei nipoti
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre e poi oggetto di diverse proiezioni nei cinema di tutta Italia, il fil documentario Liliana diretto da Ruggero Gabbai, che racconta la straordinaria storia della senatrice a vita Liliana Segre arriva stasera su Rai 3: tra materiali d’archivio inediti, la testimonianza di figli e nipoti, la voce di personaggi pubblici come Ferruccio De Bortoli, Mario Monti, Enrico Mentana, Geppi Cucciari, Fabio Fazio.

L’infanzia a Milano
Liliana Segre nacque a Milano il 10 settembre 1930. Aveva solo un anno quando la madre morì. Il padre Alberto non si risposò, visse con la sua bambina insieme ai genitori, Giuseppe Segre e Olga Loevvy. Quella di Liliana fu un’infanzia serena e agiata, ma tutto cominciò a cambiare quando nel 1938 furono promulgate le leggi razziali e fu costretta a lasciare la scuola che frequentava. Nel tentativo di proteggersi dalle persecuzioni, la famiglia, che non era mia stata ebrea osservante, decise di battezzarsi, ma fu tutto inutile. Alberto e Liliana Segre provarono allora a fuggire in Svizzera, ma furono riconsegnati nelle mani dei fasciti italiani del comando di Selvetta di Viggiù. Da qui furono trasferiti nel carcere di Varese, poi in quello di Como e infine a San Vittore, a Milano, in quel Quinto raggio che il fascismo aveva destinato agli ebrei. Il 30 gennaio 1944, i detenuti ebrei di San Vittore – più di seicento persone, tra cui quaranta bambini, inclusa Liliana – vennero caricati su una fila di camion coperti e condotti alla Stazione Centrale dal famigerato Binario 21. Dopo una breve sosta nel campo di transito di Fossoli, il convoglio n. 6 – che viaggiava sotto la sigla RSHA del Reichssicherheitshauptamt, l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich prese la direzione di Auschwitz, dove giunse il 6 febbraio 1944.

Una baracca femminile ad Auschwitz
Nell’inferno di Auschwitz
Dei 605 prigionieri ebrei, circa cinquecento vennero subito avviati alle camere a gas, tra questi c’era anche il padre di Liliana Segre. Lei, che aveva 13 anni e godeva di buona salute, fu risparmiata per essere impiegata come forza lavoro, con il numero di matricola 75190 tatuato nel braccio. Alcuni giorni prima che l’esercito sovietico entrasse ad Auschwitz fu costretta dai soldati nazisti – insieme agli ottantamila internati ancora capaci di reggersi in piedi – a incamminarsi verso la Germania, in una marcia forzata che divenne nota come “Marcia della morte”, perché sia a causa del freddo intenso, sia per la mancanza di cibo, i prigionieri cadevano uno dopo l’altro morendo di stenti, oppure freddati da un colpo di pistola alla nuca. Dopo alcuni mesi a Malchow, un sottocampo di Ravensbrück, il 30 aprile 1945 arrivò per lei la liberazione. Tornata a Milano scoprì che anche i nonni materni erano morti nei campi, mentre si erano salvati i nonni materni e il fratello del padre. Delle 605 persone del suo trasporto, solo venti fecero ritorno.

Liliana Segre e Alfredo Belli Paci da giovani
Cercando di dimenticare
Nel 1948, mentre era in vacanza a Pesaro, città d’origine dei nonni materni, conobbe Alfredo Belli Paci, cattolico, avvocato e anch’egli reduce dai campi di prigionia tedeschi per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. Furono i numeri tatuati sul braccio a far loro capire di aver un vissuto comune di sofferereza. Di lui la colpì la somiglianza fisica e caratteriale con il padre Alberto Segre. Già battezzata prima delle leggi razziali, Liliana sposò Alfredo con rito cattolico nel 1951; i due ebbero i figli Alberto, Luciano e Federica.Come raccontano i figli nel documentario Liliana la loro non fu un’infanzia sempre serena, soprattutto per il primogenitoro Alberto. Non si parlava mai di quello che era accaduto durante la seconda guerra mondiale, ma le sofferenze patite avevano lasciato ferite profonde in Liliana Segre e nel marito. Alberto scoprì l’orrore dei campi di sterminio per caso, quando aveva 15 anni, ne chiese conto al padre, che lo pregò di non parlarne con la madre, verso cui era estremamente protettivo. A un certo punto, questa sofferenza.,come accadde anche ad altri soppravvissutti, si trasformò in una grave crisi depressiva, da cui però Liliana Segre riuscì a uscire.

Nel 2011 al Memoriale del Binario 21 alla Stazione centrale di Milano
Diventare un testimone
Dopo Liliana Segre, dopo un lungo travaglio interiore, diventata consapevole, dopo la nascita dei nipoti, che senza contribuire a tenere viva la memoria di quello che era accaduto le nuove generazioni avrebbero rischiato di dimenticare se non rinnegare la storia, decise di rendere pubblica la sua testimonianza. Risale al 1990 la sua prima uscita ufficiale come sopravvissuta alla Shoah, scegliendo quella che era stata la sua scuola prima delle leggi razziali, l’Istituto Marcelline di Milano. Da quel momento divenne un’nfaticabile testimone, in sedi ufficiali e in istituti scolastici o aule universitarie. Non è un caso che il primo libro in cui ricostruiì la sua esperienza ad Auschwitz era rivolto ai bambini: Fino a quando la mia stella brillerà (Piemme), scritto con Daniela Palumbo.

Senatrice a vita
Il 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’80º anniversario delle leggi razziali fasciste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in base all’art. 59 della Costituzione, ha nominato Liliana Segre senatrice a vita “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Il 7 novembre 2019, a causa delle crescenti minacce e insulti che le vengono rivolti via internet, il prefetto di Milano Renato Saccone, sentito il comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza, le ha assegnato una scorta.Il 9 maggio 2023 viene eletta all’unanimità Presidente della commissione straordinaria per la lotta a intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio, istituita nuovamente anche nella XIX legislatura. È la senatrice più anziana che siede in Parlamento

Con lei uno degli ultimi incontri di papa Francesco
L’ultimo incontro tra Papa Francesco e Liliana Segre il 3 febbraio scorso, in occasione del Summit Internazionale sui diritti dei bambini organizzato dal Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini intitolato “Amiamoli e proteggiamoli”. Al Summit la Segre ha parlato di memoria, di scelte e di indifferenza e di come questa parola anche oggi resti come messaggio agli studenti che oggi possono andare a scuola. «Chiedo loro di non voltarsi dall’altra parte, di fare una scelta, di capire cosa significa accettare senza reagire, che qualcuno venga cacciato, deportato e ucciso solo per la colpa di essere nato”, ha detto la senatrice a vita ricordando il dramma della seconda guerra mondiale e dei crimini nazisti.Tuttavia io sono qui e posso parlarvi oggi, mentre altri bambini non sono mai tornati dai campi nazisti. Bambini la cui vita è passata sotto silenzio. Questi bambini attraversano attoniti il male, si mimetizzano o si immergono nel mondo del lager o della guerra come l’unico mondo possibile. Fuori non c’è altro. Oppure cercano forme di resistenza, di sopravvivenza, mostrando una resilienza straordinaria. Dove una vita umana, specie dei bambini, è colpita, si spegne un po’ della nostra speranza e della nostra umanità».

Nel 2019 Famiglia cristiana elesse Liliana Segre “italiana dell’anno” con la seguente motivazione, espressa dall’allora diretto Antonio Rizzolo: «Abbiamo scelto lei perché la sua lezione, portata da un trentennio nelle scuole, è una limpida e coraggiosa testimonianza. Liliana Segre, vittima del razzismo, che ha vissuto e poi ha imparato a vedere le proprie sofferenze, può insegnare a tutti noi, oggi, a continuare a osservare. A conservare il senso di quanto è accaduto allora, e a vigilare sull’oggi. A ricordare per combattere quell’indifferenza, quell’oblio, quelle paure, quei superficiali egoismi che favoriscono odi razziali, pregiudizi e ostilità varie».