«Il K2 è più che un simbolo e provare a salirlo, con una spedizione così significativa, è un’occasione unica». Anna Torretta va subito al dunque: alpinista e guida alpina, è abituata a cogliere tempi e situazioni senza tergiversare. Quando l’abbiamo intervistata, nelle scorse settimane a Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco, era appena scesa da un altro quattromila, il Gran Paradiso. Nemmeno il tempo di prendere fiato e il telefono suona più volte: c’è da organizzare l’escursione del giorno dopo e confermare il “recupero figlie” dalle attività pomeridiane, orchestrato con il marito. Fra i tanti impegni, però, già allora il pensiero era ben focalizzato sulla partecipazione a K2-70, la prima spedizione femminile italiana e pakistana voluta dal Club alpino italiano a 70 anni da quella storica del 1954, che il 31 luglio di quell’anno, prima al mondo, raggiunse la vetta del gigante del Karakorum. «Negli ultimi mesi ho approfi ttato appena possibile per stare in quota con gli sci o con i ramponi, ho speso tante giornate in montagna», racconta l’alpinista, 53 anni, che proprio in questi giorni si riunisce al campo base del K2 con le compagne. Patrocinata dal ministero del Turismo e dal ministero degli Esteri, K2-70 ha tutte le carte in regola per essere un’impresa memorabile: a tentare l’ascesa alla “montagna degli italiani”, 8.611 metri di altezza, la più impegnativa e insidiosa fra gli Ottomila, saranno otto donne. Oltre a Torretta, Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Cristina Piolini, Samina Baig, Amina Bano, Nadeema Sahar e Samana Rahim. Con loro anche la dottoressa alpinista Lorenza Pratali, medico della spedizione.
«Fra le colleghe pakistane una è sunnita e porta il velo, mentre le altre sono ismaelite e non lo indossano. Questa spedizione è anche un’occasione di scambio umano e culturale», riprende Torretta. «Siamo tutte diverse l’una dall’altra, per storia personale e per esperienze. Visto il diverso livello tecnico, sarà difficile raggiungere la cima tutte insieme, ma ciascuna ci proverà: mi sembriamo tutte donne che sanno cosa vogliono dalla vita». K2-70 porta con sé anche un valore scientifico e sociale: il progetto Cristina Castagna Center, per generare impatto socio-economico e promuovere attività professionali in loco legate all’alpinismo, e l’Ice Memory, organizzato dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università Ca’ Foscari Venezia per studiare la neve e il ghiaccio in una regione cruciale per gli equilibri del subcontinente indiano. Aspetti, quello sociale e quello scientifico, che stanno a cuore anche ad Anna Torretta. Vicecampionessa del mondo 2006 di arrampicata su ghiaccio – per molti anni la migliore atleta italiana a livello assoluto in questa specialità – e alpinista con all’attivo salite estreme, Torretta ha infatti un curriculum professionale, sociale e umano di grande spessore. Per anni è stata impegnata sul fronte della montagnaterapia e oggi sostiene l’ice slidding, l’arrampicata su ghiaccio in orizzontale che permette a disabili e normodotati di misurarsi sullo stesso piano sportivo. Ancora, è mamma di due figlie, oltre che scrittrice e architetta. «I miei genitori, che pure mi avvicinarono per primi alla montagna, non credevano che questa passione potesse diventare un lavoro, così mi sono iscritta all’università, ma proprio durante gli studi ho vinto un viaggio di lavoro a Innsbruck, fra le montagna fra donne aumenta l’autostima e insegna a prendere decisioni da sé», spiega. Porta l’esempio del dry tooling, la tecnica di salita su ghiaccio di cui è specialista: «Occorre decidere bene dove mettere piedi e mani ma, contrariamente a quanto alcuni potrebbero immaginare, generalmente le donne imparano più velocemente degli uomini perché sono più attente. È in gran parte una questione di baricentro, occorre chiedersi dove sta il proprio equilibrio». Una sollecitazione utile in arrampicata come nella vita.
Frangetta e fede nuziale legata al collo con un cordino da montagna, Torretta parla veloce, come velocemente sistema i moschettoni e riordina la corda. Rallenta solo quando racconta delle figlie: Lidie, 11 anni, e Petra, 8. «Vorrei trasmettere loro la passione per la montagna. Anche dopo tante salite, la natura non smette di stupirmi. Mi piacerebbe certamente che le mie figlie apprezzassero questo mondo, ma poi la cosa più importante è che imparino a fare le proprie scelte, pensando a quello che a loro piace di più».
La voce si fa ancora più calda: «La spedizione dura quasi due mesi, Lidie e Petra mi mancheranno molto. Devo ringraziare mio marito Vittorio, l’organizzazione familiare non sarà facile». Con la piccola hanno stabilito uno patto: la mamma le ha lasciato una sua maglietta e lei in cambio le ha offerto un piccolo stambecco di peluche. Torna alla mente l’orsacchiotto Zizì, unico compagno di cordata di Walter Bonatti – protagonista della spedizione del 1954 e della dura querelle che ne seguì – sulla parete nord del Cervino. «Mentre salgo la concentrazione è totale ma la sera, in tenda, il pensiero va sempre e solo alle mie figlie». Ricevuta la benedizione del vescovo di Aosta, monsignor Franco Lovignana, e finito l’acclimatamento al campo base, nella seconda metà di luglio l’alpinista tenterà la salita lungo lo Sperone degli Abruzzi, la via aperta da Luigi Amedeo duca degli Abruzzi nel 1909: «Aspiro alla vetta e a tornare indietro». Anna Torretta ama sì le montagne, ma il baricentro ce l’ha saldo a casa.