Nel suo intervento alla Commissione sul Disarmo delle Nazioni Unite, nel corso della 79.ma Assemblea Generale, l’osservatore permanente monsignor Caccia afferma come la logica della deterrenza rappresenti un ostacolo alla pace e sia causa di divisioni. Rilancia inoltre l’appello di Papa Francesco a promuovere un dialogo inclusivo, capace di coinvolgere anche gli interlocutori “più scomodi”
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Le “soluzioni militari” non rappresentano una risposta efficace alla crescente instabilità politica che coinvolge diverse regioni del mondo. “Il ciclo di accumulo degli armamenti” e “la logica della deterrenza” sono l’anticamera di sospetti e divisioni, che allontanano la comunità internazionale dalla prospettiva di una pace duratura. Diventa quindi necessario “riprendere, con rinnovata urgenza, il cammino del disarmo”, dialogando anche con interlocutori che possono risultare “scomodi”. È questa la posizione della Santa Sede, espressa dal suo osservatore permanente presso le Nazioni Unite, monsignor Gabriele Caccia, nel suo intervento alla Commissione sul Disarmo, nell’ambito della 79ª Assemblea Generale dell’organizzazione, tenutasi a New York nella giornata di ieri, 8 aprile.
Erosione del dialogo e della cooperazione
Il cambio di paradigma adottato da “molti Stati”, sempre più orientati verso “soluzioni militari” per salvaguardare la propria sovranità e i propri interessi, avviene a un “costo significativo”, secondo monsignor Caccia, sia in termini economici sia per quanto riguarda l’“erosione del multilateralismo, del dialogo e della cooperazione internazionale, che sono stati a lungo le pietre miliari dei nostri sforzi collettivi”.
La corsa agli armamenti allontana dalla pace
L’osservatore permanente della Santa Sede ha richiamato le parole di Papa Giovanni XXIII, contenute nell’enciclica Pacem in Terris. Già nel 1963, il Pontefice osservava come la corsa agli armamenti venisse giustificata “adducendo il motivo che, se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi, se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo e armarsi esse pure”. Parole che “risuonano profondamente” ancora oggi, allontanando il mondo da una “pace duratura”.
Aderire ai trattati contro le armi nucleari
Alla luce della prospettiva “allarmante” di un possibile conflitto nucleare, monsignor Caccia ha riaffermato l’appello a intraprendere con “rinnovata urgenza il cammino del disarmo”. Riprendendo le parole di Papa Francesco, ha ribadito che le armi di distruzione di massa “rappresentano un moltiplicatore di rischio che dà solo un’illusione di pace”. Il possesso di tali armamenti continua a essere giustificato attraverso la logica della deterrenza, “nonostante la natura mutevole e la complessità dei conflitti e l’innegabile realtà che qualsiasi uso di queste armi avrebbe conseguenze umanitarie e ambientali catastrofiche”. La Santa Sede invita quindi all’adesione al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) e al Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).
Dialogare anche con interlocutori “scomodi”
Un altro tema affrontato da monsignor Caccia è stato quello delle nuove tecnologie e del loro impatto sulla costruzione della pace. Anche in questo contesto è stato rilanciato l’appello di Papa Francesco a stabilire “quadri legislativi” che permettano di affrontare sfide come, tra le altre, l’avvento dell’intelligenza artificiale. Soluzioni che, secondo il Pontefice, possono essere perseguite solo attraverso la “vocazione della diplomazia”, capace di favorire “il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più scomodi o che non si riterrebbero legittimati a negoziare. È questa l’unica via per spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano e per disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge”.