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La promessa del Giovedì santo, una scommessa sufficiente

Ecco i giorni santi, i più importanti dell’anno, ecco la Pasqua, la festa più bella. Secoli di vie crucis ci hanno fatto trascurare il prima e il dopo. Il giovedì, con la cena preparata per gli amici più cari, la lavanda dei piedi. Ma anche qui, più che il Signore chinato a servire i fratelli, mi commuove l’amico che parla agli amici, che lascia il suo testamento, a parole.

Sappiamo quanto Gesù sia parco di parole: parabole, citazioni della Scrittura, il cuore del Vangelo nelle beatitudini. Ma insomma, giudicheremmo la sua oratoria essenziale, mai ridondante. Invece, il Giovedì Santo, nell’ultima Cena, si dilunga, quasi gli piacesse finire quel tempo di intimità così profonda e libera.

Anche quando esce dal cenacolo spiega ai suoi di non essere turbati, dialoga con Filippo, che aspetta il miracolo di una rivelazione improvvisa («Mostraci il Padre»), profetizza il dono dello Spirito Santo, e la parusìa. Continuiamo con Giovanni, il discepolo che gli aveva poco prima posato il capo sul cuore: «Rimanete nel mio amore… Amatevi gli uni gli altri… Voi siete miei amici…». E ancora: «il mondo vi odierà, vi perseguiteranno, ma osserveranno anche la vostra parola. Date testimonianza».

E infine, «abbiate coraggio, io ho vinto il mondo… Non prego solo per questi ma per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Quelli siamo noi. La storia del cristianesimo è tutta qui, prefigurata, spiegata con tutti i suoi dogmi, i secoli di peccati e gloria, di sofferenza e gioia, tradizione, preghiera, unità dei credenti, rapporto col mondo, il comandamento dell’amore (un comando, non un’opzione).

Qui c’è già la Pasqua e la Pasqua è la forza dei cristiani, la speranza viva, presente. «Se Cristo non fosse risorto, vana è la nostra fede», scrive san Paolo. Non annunciamo abbastanza la Risurrezione di Cristo. Non ce la ricordiamo abbastanza, tra noi. Surrexit. Quindi possiamo risorgere anche noi, ce l’ha promesso. Quindi il più grande dramma e il più urgente desiderio dell’uomo può sciogliersi nella luce della Pasqua. Non siamo venuti al mondo per il nulla. Non perderemo il bene dei nostri cari. Non sarà sconfitta la Chiesa. Il male che vediamo non avrà l’ultima parola. Anche il male innocente, che ci prostra nello scetticismo, non vincerà per sempre. I grandi del mondo saranno giudicati. Il dolore non sarà vano. È una follia, da vertigine. Quante volte possiamo chiederci «ma è proprio vero?», perché non siamo ingenui e la ragione ci è donata per usarla. Ma la Risurrezione di Cristo che poi torna a mangiare il pesce con i suoi amici, che li colma di certezza nella Pentecoste, sono dei fatti. Possiamo cancellarli e pensare che gli apostoli e i loro seguaci e «quelli che hanno creduto per la loro testimonianza» siano dei pazzi ma la ragione più larga pone comunque la domanda: pazzi per 2000 anni? Pazzi di carità, di fede, di speranza e con esse di inni, icone, cattedrali, filosofia, poesia, ospedali, fiumi di ragazzi che si passano la croce a staffetta… Tutti i pazzi? O vale la pena legare la promessa del Giovedì Santo all’alba della domenica? Foss’anche per una scommessa, sarebbe bastante.





Dal sito Famiglia Cristiana

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