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La mostra “Archeologia del presente” dell’artista Renzo Francabandera, a Jesi, poi Bari e Bologna


C’è una branca della storiografia che si occupa di studiare la “microstoria”, ovvero quella storia che non passa attraverso gli eventi di portata epocale, ma che si occupa di personaggi, storie e vicende di piccole comunità o personaggi minori (secondo i parametri ufficiali) che però raccontano nell’effettivo la reale condizione di un paese o di un popolo in un determinato momento storico. Così anche una catasta di oggetti apparentemente insignificanti possono raccontare storie personali e plurali, che creano una rete aperta e condivisa su cui tante altre voci e vite si intersecano fino a ricongiungersi col grande quadro storico universale. 
Il performer, pittore e studioso dei linguaggi artistici del contemporaneo, oltre che giornalista e critico teatrale Renzo Francabandera, nella sua mostra Archeologia del presente, scandaglia la storia attraverso cartoline abbandonate, album di fotografie ritrovati fra i rifiuti della carta, brandelli di manifesti, oggetti recuperati dagli sgomberi post-alluvionali, sminuzzati metaforicamente nella loro dimensione passata per restituirla al presente in nuove vesti, come un grande collage. Talvolta a questi rinvenimenti sovrappone la sua pratica grafico-pittorica per creare nuovi spazi dell’immaginazione, ambienti fantastici, storie e vicende puramente immaginate nate dall’assemblaggio di segni.
«Penso che l’archeologia del presente riguardi tutti noi. Significa collegare ai ricordi un oggetto che abbiamo inspiegabilmente conservato, trasloco dopo trasloco. È quel giocattolo rotto che abbiamo custodito anche se non funziona più. Io semplicemente riprendo questi oggetti, ne faccio pretesto artistico. Li cambio di luogo, di significato. Procedo a una traslazione simbolica. E quindi quell’oggetto perde il suo connotato originario. E diventa (spero) arte, ricollegandosi a memorie di tutti. Cartoline o foto di famiglia abbandonate, oggetti presi da cantine svuotate dopo gli alluvioni. Accostamenti azzardati e interventi pittorici che trasformano tutte queste cose» racconta Francabandera. «Adesso si parla tanto della banana di Cattelan. Ecco: io come minimo lavorerei sulla banana lasciata dallo studente sbadato in fondo alla cartella! Ha a che fare con la memoria? Sicuramente con quella di chi l’ha dimenticata lì e che non funziona bene! Ma difficilmente la userei per un’opera d’arte, anche se adesso l’arte ragiona proprio sulla sua decadenza. Sul suo essere “a tempo”».
 



La mostra, attualmente in esposizione a Palazzo Bisaccioni di Jesi, fino al 9 dicembre, è suddivisa in due nuclei creativi: 
•    MANIFESTI PER UN’ARCHEOLOGIA DEL PRESENTE: sono le opere di ispirazione pittorica. Realizzate nel 2024 dall’artista portano in dialogo il presente del vissuto, personale e collettivo, con il passato recente e non solo. Le opere sono realizzate su materiale povero, come carta da imballo o tovaglie di carta, e uniscono gli oggetti rinvenuti, le matericità urbane, i tessuti usati, i pezzi di manifesti recuperati dall’artista, con la sua tecnica pittorica, per creare paesaggi inventati, che impastano presente, passato prossimo e passato remoto. 

•    RINVENIMENTI: all’interno della struttura è ospitata un’ampia installazione oggettuale che trova fondamento su due nuclei creativi: le Cartoline, realizzato fra il 2021 e il 2022, esposto in diverse mostre in Italia, da Bologna a La Spezia. Alcune di queste opere sono diventate, in formato proiettato, scenografia dello spettacolo Anima Mundi, per la regia di Monica Felloni, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, che vede interpreti artisti con e senza disabilità. Scavi nel fango è un nucleo di opere nato dopo i recenti episodi alluvionali in Emilia Romagna, come recupero di quanto lasciato dai cittadini dopo aver svuotato le cantine invase dal fango.

Dopo Jesi, la mostra sarà a Bari dal 18 gennaio al 15 febbraio al Museo Civico e, in ultimo, a Bologna presso Cordua Gallery a marzo.





Dal sito Famiglia Cristiana

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