Prorogata fino al 5 maggio l’esposizione allestita a Palazzo Vitelleschi nella cittadina laziale. Un’occasione per visitare il capolavoro dell’artista fiorentino nel luogo per il quale era stato realizzato: nella dimora del cardinale, protagonista del suo tempo. Il direttore del PACT Vincenzo Bellelli: c’è un legame molto stretto tra il pittore, il committente, la sua residenza e Tarquinia
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
A Tarquinia, chi ha sotto la propria abitazione o esercizio commerciale dei locali sotterranei scavati nella roccia, è pronto a giurare che si tratti di una tomba etrusca. Che siano magazzini, cantine o “butti”, ovvero scarichi medievali di immondizia, poco importa. Un’eredità storica di così grande importanza pesa enormemente nell’immaginario collettivo. In questo spicchio di terra proteso verso il mare il filo del tempo non si è mai spezzato, stratificando un serrato avvicendamento di periodi che, da quelli più antichi, raggiungono l’epoca moderna attraverso una complessa alternanza di vicende, influenze, fioriture o crisi. Secondo la tradizione il suo fondatore fu l’eroe Tarconte. Dal remoto passato mitologico, l’antica Corneto – questo il suo toponimo in epoca medievale per i vicini boschi di corniolo – è un ricchissimo palinsesto di frangenti storici, non una monade isolata. Non deve dunque essere imprigionata dalla fama delle tombe dipinte.
Arrivare a Tarquinia non è difficile, bastano il trenino che costeggia il mare e una navetta sempre attiva. L’invito è quello di fermarsi, non di sottostare a un turismo frettoloso che trancia segmenti cronologici, ignorandone non solo la bellezza ma anche l’importanza del suo divenire storico. Un’ottima occasione è visitare, fino al prossimo 5 maggio, “1437. La Madonna di Filippo Lippi, Tarquinia e il cardinale Vitelleschi” realizzata dal Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, in collaborazione con il comune di Tarquinia e la diocesi Civitavecchia. L’esposizione celebra la chiusura del centenario del Museo Nazionale Archeologico di Tarquinia.
Il progetto scientifico è coordinato dal professor Vincenzo Bellelli, direttore del PACT. Ai microfoni dei media vaticani ne illustra le caratteristiche. La mostra si snoda in quattro sezioni ospitate a Palazzo Vitelleschi, ma al contempo si articola in altre quattro sedi della città, “dove vengono illustrate opere o contesti che integrano il racconto: il Palazzo, il Duomo, la chiesa di Santa Maria in Castello, nel palazzetto dove c’è l’archivio storico comunale e nel palazzo comunale”.
Il centro della mostra è Palazzo Vitelleschi, dalla duplice identità di museo e di dimora storica, nel quale è ospitata la Vergine con Bambino di Filippo Lippi, conosciuta anche come Madonna di Tarquinia. Quest’opera, attualmente esposta in modo permanente nel Palazzo Barberini di Roma, torna per l’occasione nel luogo per cui era stata concepita. “La realizzazione di questo dipinto è legata alla figura del cardinale Vitelleschi, che l’aveva commissionata nel 1436 a Filippo Lippi quando era arcivescovo di Firenze. C’è un legame molto stretto tra il pittore, il committente e il suo palazzo. L’allestimento parte esaminando il contesto dal 1917 anno in cui il dipinto viene scoperto, o per meglio dire riscoperto, dallo storico dell’arte Pietro Toesca che lo attribuisce al Lippi”.
Nelle stanze del cardinale
“La mostra è concepita con un climax ascendente, cioè con una progressione anche emozionale e quindi il visitatore, dopo aver capito quali sono le coordinate spazio temporali della storia raccontata, aver visto chi era il personaggio, il committente, e il suo palazzo, alla fine, come in un’epifania, varcata la porta laterale, vedrà il capolavoro di Lippi che abbiamo collocato con effetto di suggestione nell’abside della cappella”. L’organizzazione dell’allestimento, spiega il direttore del PACT, “si concentra nei tre vani che erano anche la parte più privata del palazzo e destinati all’alloggio del cardinale: la stanza da letto, lo studiolo e la cappella. In particolare, nello studiolo”. Il direttore del museo fa anche notare che “si è conservato in maniera miracolosa tutto il ciclo originale degli affreschi, datato con precisione tra il 1437 e 1439 grazie allo stemma cardinalizio dipinto sulla parete. Gli affreschi, attribuibili a una bottega dell’Italia centrale, possono essere collocati in questo periodo. Al centro il tema iconografico trattato è la virtù di Lucrezia, la storia di cui parla Tito Livio, che per un uomo di fede come Vitelleschi è molto significativa perché valorizza le virtù femminili e soprattutto la castità, importante per un uomo molto devoto della Vergine come lui”.
Il cardinale e la sua dimora
“Il cardinale Giovanni Vitelleschi è stato un personaggio davvero notevole dei primi del Quattrocento, possiamo dire che fosse il braccio destro del Papa perché aveva già accumulato su di sé alcune cariche quando non era ancora cardinale; lo sarebbe diventato proprio nel 1437 quando commissionò l’opera a Filippo Lippi”. “Grazie al potere e alle sostanze accumulate – aggiunge Bellelli – ebbe la possibilità di costruirsi il palazzo e di entrare in relazione con gli artisti che, all’epoca, erano i più richiesti. Era uomo di Chiesa ma anche un condottiero e la sua fama fu condizionata dalla sua reputazione, dai giudizi che ne lasciarono i detrattori, molto attenti nel sottolineare questo aspetto del suo carattere: una persona determinata, implacabile nel dare la caccia al nemico. Tutti quelli che erano nemici del Papa diventavano i suoi nemici”. “Fu il più fedele servitore di Eugenio IV a cui legò la sua fortuna ma anche la parabola discendente. Il periodo era difficile per il Papa che ebbe bisogno di personaggi forti che avessero anche la capacità di condurre l’esercito, che avessero capacità militari. E in effetti le imprese militari di Giovanni Vitelleschi furono senz’altro importanti”. “L’aspetto intrigante del personaggio è che ebbe una fortissima devozione per la Vergine, con una preparazione dottrinale straordinaria, incline alla meditazione. Al tempo stesso, fu un condottiero e quindi fece assedi, prigionieri, cercando sempre di tenere gli interessi del Papa in primo piano”.
Il capolavoro
“Ammesso e non concesso che il dipinto sia mai stato concepito per stare in cappella, abbiamo ritenuto comunque di proporlo in questo punto, perché è una pala d’altare. Si sta discutendo se sia stato realizzato per devozione privata o per il culto pubblico, in ogni caso la collocazione doveva essere questa. Resta anche il dubbio se il cardinale avesse ordinato l’opera per la preghiera e la meditazione personale, oppure per una chiesa di Tarquinia. Il legame stretto tra la figura di Giovanni Vitelleschi e quest’opera di Lippi, quindi con il Palazzo e con Tarquinia, comunque persiste”. “L’importanza di questo dipinto spiega Bellelli – la conoscono tutti gli storici dell’arte.
E un’opera rivoluzionaria per più motivi. Innanzitutto perché propone un tema sacro, forse il più banale – la Vergine con il Bambino – ma in un contesto ambientale che è presentato alla maniera dei pittori fiamminghi. È la prima opera dell’arte italiana che presenta un soggetto con questo tipo di sfondo. La presenza del talamo, del libricino, anche quello che sembra un banale scorcio paesistico sono in realtà allusioni, allegorie. Il tema che vuole enfatizzare il pittore è quello dell’Incarnazione, l’unione della natura divina con quella umana”.
Un metatesto
Il direttore invita a osservare da vicino il dipinto, la cui “resa è plastica”. “È difficile trovare un’opera di pittura dove c’è così tanta presenza della scultura, anche della scultura contemporanea. Ci sono dei riferimenti che gli addetti ai lavori colgono subito con le opere di Donatello e Luca della Robbia. Qualche studioso ha anche sottolineato alcuni, probabili richiami alla scultura etrusca. In effetti gli Etruschi hanno realizzato statue di bambini che sembrano vecchi, ma è soltanto pura suggestione, non è un dato confermato. Quello che invece è oltremodo sicuro è l’ancoraggio cronologico: il 1437 è la data riportata nel cartiglio, uno dei primi dell’epoca. È stato notato che tale data potrebbe anche essere considerata a cavallo tra il 1437 e 1438, perché in quel periodo a Firenze l’anno si faceva cominciare dal 25 marzo, quindi potremmo avere una data di composizione compresa tra marzo 1437 e il marzo 1438, ma questo sposta di poco i termini del problema. Per noi è preziosissimo un dato perché siamo certi che nello stesso periodo Giovanni Vitelleschi faceva costruire il suo palazzo e commissionava il dipinto a Lippi. La nostra ipotesi è che il palazzo Vitelleschi sia un ricco metatesto nel quale si possono recuperare anche notizie relative al dipinto di Lippi”.
Un palazzo che non è solo un museo etrusco
“Palazzo Vitelleschi è un museo, ma anche un palazzo; le collezioni archeologiche che rimandano al periodo etrusco di Tarquinia sono inserite in un palazzo storico che ha una propria identità, un proprio aspetto integro, che va preservato e che noi raccontiamo parallelamente e insieme all’illustrazione delle collezioni. Per noi Palazzo Vitelli con il dipinto è il vero protagonista di questa mostra”.
Un centro storico importante in tutte le epoche
Tarquinia, ricorda infine il direttore del PACT, soprattutto nel periodo del cardinale Vitelleschi, “fu uno dei principali centri del patrimonio dello Stato Pontificio. E lo fu almeno dal XIV secolo perché ci sono alcuni dati legati alla ricchezza del territorio e alla presenza del porto che avevano fatto sì che fosse un centro anche inserito a pieno titolo negli scambi commerciali tra il nord e il sud della penisola. Inoltre ricordiamo l’ampia parabola cronologica e la straordinaria concentrazione di chiese a partire almeno dal Duecento, alcune delle quali straordinarie. A Tarquinia sono rappresentati tutti i periodi, dell’arte a cominciare dal romanico, al gotico, fino all’epoca rinascimentale, inserendola di diritto nella rete delle tappe giubilari”.