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La giustizia a orologeria di Erdogan: in manette il sindaco di Istanbul Imamoglu

Cronaca di una fine politica annunciata. Il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è finito in manette con due accuse. La prima è corruzione e turbativa d’asta. La seconda è collaborazione con organizzazione terroristica. Si tratta di un arresto eccellente e probabilmente anche di un caso di giustizia a orologeria. Il primo cittadino della megalopoli sul Bosforo è considerato il ‘golden boy’ dell’opposizione turca, l’unico davvero in grado, per ambizione e carisma, di sfidare direttamente il presidente Recep Tayyip Erdogan e contendergli la prima carica dello Stato. La storia è fatta di date, ma non di coincidenze. Proprio domenica, Imamoglu avrebbe dovuto partecipare al congresso del Chp, il Partito repubblicano del popolo e maggiore formazione politica dell’opposizione. Ieri è stato arrestato e due giorni fa il suo diploma di laurea è stato dichiarato nullo. L’aver frequentato con profitto l’università rappresenta una condizione necessaria per correre alle elezioni presidenziali. quindi, già da quel momento, si doveva supporre che qualcosa sarebbe accaduto a breve. Da quando è diventato primo cittadino, inoltre, Imamoglu ha avuto problemi con la giustizia, che però sembravano più un intralcio alla sua carriera. Nel 2021, per esempio, finì sotto processo per insulto all’Alta Commissione elettorale (YSK). Il risultato è che fu condannato in primo grado e non potè presentarsi come candidato alle presidenziali del 2023. Sembrerebbe proprio che Erdogan abbia voluto levarsi il pensiero anche per le prossime.

Imamoglu è stato arrestato di prima mattina, con un’operazione accuratamente studiata dal punto di vista scenografico. Centinaia di poliziotti, la zona della sua casa isolata a tutto, tranne che alle telecamere. Nelle stesse ore, sono finiti in manette decine di dirigenti locali e suoi collaboratori, segno che l’operazione era stata coordinata e pianificata da tempo. Fra questi ci sono anche i sindaci di Şişli e Beylikdüzü. Il primo è un distretto storicamente a maggioranza repubblicana, il secondo è quello che Imamoglu governava prima di diventare sindaco. Il primo capo di accusa, quello di corruzione, risale proprio a quel periodo che va dal 2014 al 2018. Imamoglu, in particolare, dovrà rispondere dell’accusa di turbativa d’asta e dell’aver favorito alcuni candidati che partecipavano alle gare di appalto. La seconda accusa è ancora più ideologica e difficile da provare. Il primo cittadino si sarebbe macchiato del reato di associazione a organizzazione terroristica per aver assunto membri sospettati di simpatizzare per il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, con il quale Erdogan è sceso a patti proprio di recente, tramite il suo leader storico, Abdullah Öcalan. Si tratta di un particolare di non poco conto. Il presidente turco calibra le sue mosse molto attentamente. L’accordo con i curdi è funzionale alla modifica della costituzione. I voti in parlamento non ci sono, visto che l’opposizione, fra cui il partito di Imamoglu, non ha collaborato. Al ‘Reis’ non è rimasto altro che ricorrere alla minoranza. In un momento di bisogno reciproco, si è riusciti a trovare un compromesso. Nuovi riconoscimenti ai curdi in cambio dell’appoggio in parlamento al disegno di riforma. E poi elezioni anticipate. È qui che entra in gioco il complotto contro Imamoglu. Erdogan vuole correre sapendo che il suo principale avversario non può partecipare. È ancora presto per dire cosa succederà nel Paese e se questo basterà. Di certo, il presidente non ha intenzione di demordere.





Dal sito Famiglia Cristiana

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