Il 24 febbraio, terzo anniversario dell’iinzio della guerra, è stato dichiarato Giornata di preghiera per tutta l’Ucraina. A decretarlo è stato il Parlamento ucraino, su proposta delle varie Chiese e confessioni religiose del Paese. Lo ricorda monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, che riflette su questi tre anni di guerra e sul momento storico che l’Ucraina sta vivendo, alla luce del ruolo della fede e della Chiesa.
«In questo momento si possono individuare tre sfide per la Chiesa», spiega il Nunzio. “La prima è legata al Giubileo ed è il tema della speranza. Penso in particolare ai tanti prigionieri civili: spesso non hanno alcuna speranza, perché gli scambi per questo tipo di prigionieri non avvengono, dato che l’Ucraina non ha prigionieri civili russi; inoltre spesso la Russia considera questi prigionieri come propri cittadini. Mancano dunque anche i meccanismi internazionali per aiutarli. Né la Croce rossa né la Santa Sede hanno la facoltà di fare qualcosa per loro. Una signora ucraina di 60 anni, Lyudmila, che ha passato tre anni in prigionia, mi raccontava tempo fa: “Io non avevo fatto nulla quindi all’inizio ero convinta che i russi mi avrebbero liberato subito. Invece sono rimasta prigioniera per tre anni. Una delle difficoltà che ho dovuto affrontare è stata quella di essere privata del sonno. Poi hanno cominciato a farmi firmare verbali e io non capivo più nulla, cosa fosse realtà e cosa fantasia”. Pensiamo alle madri i cui figli sono in prigionia: queste donne vanno sostenute, aiutate. Chi può intervenire in favore dei prigionieri? Cosa ne sarà di loro? Chi penserà alla loro situazione nell’ambito delle trattative per la pace? La preghiera allora, per queste persone, diventa di fondamentale importanza. Una situazione simile è quella dei soldati al fronte, come ci confermano i cappellani militari: rivolgersi a Dio, pregare, sperare nell’Eternità è di grandissimo aiuto, per stare in pace con se stessi, per affrontare in modo più umano la guerra. Sono molto grato al Papa per aver indetto il Giubileo della speranza, che qui in Ucraina oggi riveste un significato profondo».
La seconda sfida della Chiesa è quella di non fuggire dalla realtà: «Quando la Chiesa sta in mezzo alla gente percepisce le difficoltà della guerra, le cause, ciò che è implicato. Questo significa non prendere la guerra in modo superficiale. Quando preghiamo per la pace ci rivolgiamo a Dio chiedendogli quali azioni concrete possiamo intraprendere noi per cercare la via della pace. Non possiamo stare con le mani in mano. In questi tre anni i numeri della guerra sono andati sempre crescendo, di anno in anno: il numero dei morti militari, anche di quelli civili. Il conflitto non è affatto in diminuzione, è in crescita. La guerra è un attentato alla vita umana, è annientamento di tutti i valori, violazione dei confini e del diritto internazionale. E se non si trova una via di uscita spesso la tendenza è quella di allargare il conflitto. L’Europa è stata molto solidale con l’Ucraina, ma non è coinvolta direttamente nella guerra e quando il diritto internazionale viene meno, anche l’Europa resta scoperta, indifesa, in una condizione di rischio. O si ristabilisce la pace sulla base dei principi e delle regole della convivenza internazionale, oppure restiamo tutti vulnerabili, con il pericolo che il conflitto possa estendersi ancora di più. Quando il Papa prega per la pace invocando il dialogo, intende dialogo fra tutti, parlare tutti quanti insieme, assumendoci nella nostra coscienza la responsabilità di cercare la pace in tutti i modi possibili. Ma una pace vera, concreta, duratura, che non sia usata per violare la convivenza e per porre le basi per altre guerre. Una pace che non sia solo politica, che rispetti la vita delle persone, la dignità umana».
La terza sfida, conclude monsignor Kulbokas, riguarda il dialogo: «La Chiesa è aperta a tutti, dialoga con tutti. Ma dobbiamo testimoniarlo concretamente. Ciò significa che, come credenti, dobbiamo avere più incisività nella politica. Quando parlano della guerra, coloro che governano preferisce discutere dei territori, dei costi economici, delle questioni militari, mettendo da parte la vita umana, le persone. Se noi credenti non diventiamo più incisivi nella vita politica, sia a livello nazionale che internazionale, rischiamo di perdere i nostri punti di riferimento».
(Foto Ansa: monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, in un incontro con papa Francesco nel 2021)