In occasione del Giubileo del mondo del volontariato, il terzo episodio di “Specchi”, il podcast sui Giubilei tematici dell’Anno Santo dedicato alla speranza, racconta la storia del dottor Vincenzo Trapani Lombardo, ematologo di 74 anni
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Il nomignolo “Kiko” glielo aveva dato sua sorella Marika, detta da molti Kika, e lei per non far sentire il fratello da meno lo avevo ribattezzato così. In molti a Reggio Calabria lo conoscono con questo nome, ma quello vero è lungo e doppio. Vincenzo Trapani Lombardo, ematologo, oggi ha 74 anni, è in pensione ma certamente la sua routine non è quella di un semplice pensionato. Per un periodo è stato il direttore degli “Ospedali Riuniti di Reggio Calabria” e dell’Hospice “Via delle Stelle”, ma il suo impegno maggiore è nell’Unitalsi e nel presidio medico di Alghillà, quartiere nato negli anni ’80 come zona residenziale e divenuto ben presto terra di nessuno, abbandonato all’incuria e all’illegalità.
“Con” le persone
La sua storia – raccontata nel terzo episodio di “Specchi”, il podcast sui Giubilei tematici – simile a quella di molti che partecipano al Giubileo del mondo del volontariato (8-9 marzo), è quella di chi ha nel cuore un’unica certezza: “Il volontariato è un volontariato con le persone”. È la preposizione “con” che fa la differenza nelle sue parole, “è un rapporto paritario” quello che bisogna cercare e che nasce dal rispetto della persona e dal “considerare – spiega il dottor Trapani Lombardo – la persona come se stesso, avendo lo stesso rapporto che uno avrebbe con un proprio fratello, con un proprio amico del cuore. Mettere a proprio agio significa proprio non far sentire le persone in dovere nei tuoi confronti, ma farle sentire sullo stesso piano”.
“Potevo fare di più…”
Un atteggiamento che il medico applica anche nella relazione con i suoi pazienti e con le loro famiglie. Un atteggiamento che paga, spiega, raccontando di un episodio che lo ha particolarmente turbato: la morte di un uomo mentre era in turno. “Mi sono accorto che sicuramente avevo qualche responsabilità, perché avrei potuto, se fossi stato molto più attento, fare qualcosa in più. L’indomani mattina ho affrontato il figlio e gli ho spiegato la situazione”. Il figlio, apprezzando la sincerità e la verità, ha capito il dottore e molto ha fatto il bel rapporto costruito in passato. È la forza della relazione.
Capire la vita in punto di morte
L’ospedale di Reggio Calabria e poi l’hospice, dove si occupa di cure palliative e nel quale il dottor Vincenzo, pur seguendo chi sta per morire, luoghi in cui trova delle cose bellissime: “fratelli che non si frequentavano e che si sono riavvicinati, gente che si è riavvicinata ai sacramenti proprio alla fine, non perché convinti da qualcuno, ma proprio perché hanno capito il significato della loro vita, che cosa stavano affrontando, come si dovevano preparare alla morte in un ambiente sereno”.
Nel mio piccolo
La vita del dottore è tutta improntata alla dedizione, alla cura dell’altro, all’Unitalsi, l’associazione che gli ha fatto riscoprire la fede e che lo spinge ad organizzare le iniziative più creative per portare a Lourdes 40 bambini e in futuro diversi pazienti oncologici, sempre se si troveranno i fondi. C’’è un altro impegno che sta a cuore al medico, è quello che riguarda Arghillà, un luogo dove mancano spesso l’acqua e la corrente. “Sono andato a fare delle visite domiciliari in ambienti dove vivevano 8 persone in 10 metri quadrati, un bagno senza finestra. Dovevo fare una medicazione a una signora, ho chiesto di lavarmi le mani, quando sono andato in bagno ho detto forse che era meglio se non me le lavavo, ho usato l’alcol perché non era il caso. È una realtà veramente abbandonata”. E allora perché andare? “Io faccio le cose che posso fare nel mio piccolo e poi denuncio a chi posso denunciare, a chi mi sta ad ascoltare”. Colpisce l’umiltà di questo medico e allora le parole di don Primo Mazzolari, presenti nel podcast, sembrano scritte per lui e per tanti volontari che si impegnano “con il cuore aperto, la mano tesa e le gambe pronte”: come ha detto in passato Papa Francesco: