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Jean-Marie Le Pen, l’anima nera della Francia

Jean-Marie Le Pen è morto il 7 gennaio 2025, all’età di 96 anni. Una lunga vita segnata da provocazioni, successi politici e condanne. È stato il leader che ha portato l’estrema destra francese dal margine oscuro della politica al cuore del dibattito nazionale, arrivando fino al secondo turno delle presidenziali nel 2002. Un personaggio che ha lasciato un’impronta profonda nella storia della Repubblica. Un’impronta nera, razzista e antisemita. Al punto che persino sua figlia Marine ne ha preso le distanze.
Lo chiamavano «Le Menhir», quel masso granitico che sfidava il tempo. E granitico lo era davvero, con quel volto scolpito e quell’aria sprezzante. Jean-Marie Le Pen è stato il simbolo di un’estrema destra che non chiedeva permesso, che avanzava a colpi di provocazioni e slogan taglienti. Co-fondatore del Front National nel 1972, lo eresse a bastione del nazionalismo e dell’odio verso tutto ciò che non fosse “autenticamente francese”. Compresi gli ebrei.
Dopo anni nell’ombra, riuscì a trasformare quel movimento in un fenomeno politico di massa. La svolta arrivò nel 2002, quando superò il socialista Lionel Jospin, lasciando la sinistra annichilita e costringendo Jacques Chirac a un ballottaggio da incubo.
Era nato nel 1928 a La Trinité-sur-Mer, in Bretagna. Orfano di padre, morto nell’esplosione di una mina, crebbe in una Francia rurale che odorava di salsedine e miseria. Di quella Francia, Le Pen si faceva vanto: «Breton e francese di sangue», diceva nei suoi discorsi, sottolineando con orgoglio le sue radici profonde. Si arruolò giovane, prima in Indocina e poi in Algeria, dove le ombre delle torture inflitte ai nemici lo seguirono per tutta la vita. Non negava, ma minimizzava: «Cosa è la tortura? Dove inizia, dove finisce?» si chiedeva nei suoi Mémoires. Perse anche
La carriera politica di Le Pen iniziò presto, tra le fila dei poujadisti, ma fu con il Front National che trovò la sua vera dimensione. Da piccolo gruppo estremista, il FN divenne negli anni ’80 una forza politica capace di attrarre un elettorato disilluso, radicalizzato, in cerca di sicurezza e identità. Nel 1958, durante una rissa politica, subì un’aggressione in cui venne colpito al viso. Questo gli causò una lesione permanente alla palpebra sinistra, conferendogli quell’aspetto caratteristico, con un occhio leggermente socchiuso, che molti hanno interpretato erroneamente come la perdita di un occhio.
Nel 1984, con l’aiuto di una sinistra al governo troppo compiacente, Le Pen ebbe il suo trampolino di lancio: un’apparizione a L’Heure de Vérité, un programma televisivo di punta, che gli permise di conquistare il 10% alle elezioni europee dello stesso anno. Soprattutto la Francia profonda, che conosceva a menadito, quasi come de Gaulle. Da lì in poi, il “fenomeno Le Pen” non si fermò più.
Ma non c’era solo la politica. Jean-Marie Le Pen era anche l’uomo delle frasi che tagliavano come lame. «Le camere a gas? Un dettaglio della storia», disse nel 1987, scatenando indignazione e condanne. Negazionismo, razzismo, incitamento all’odio: i tribunali francesi lo conobbero bene. Eppure, ogni scandalo sembrava rafforzare la sua immagine di tribuno contro il sistema. Dietro le sue affermazioni c’era un pensiero velenoso: la convinzione che il «mondo bianco» stesse morendo sotto l’assalto di un’immigrazione che definiva un «grande rimpiazzo organizzato». Un fenomeno comodissimo per attrarre voti sfruttando i timori e la diffidenza di molti francesi, quelli che spesso venivano descritti nei romanzi di Simenon.
La vita privata di Le Pen non era meno tormentata. Un matrimonio finito con la moglie Pierrette che posò in modo provocatorio su una rivista scandalistica; tre figlie impegnate in politica; una dinastia che sembrava più una corte gotica di faide e tradimenti.
Alla guida del partito, nel 2011, arrivò la figlia Marine. Lui, relegato al ruolo di presidente onorario, non smise mai di interferire, creando imbarazzo e tensioni. Nel 2015, il legame si ruppe definitivamente. Alla sua morte, l’eredità di Jean-Marie Le Pen è una lama a doppio taglio. Da un lato, ha posto le basi per un partito, oggi guidato da Marine, che ha smussato gli angoli razzisti e antisemiti pur mantenendo un’anima profondamente radicale di destra. Dall’altro, le sue idee più estreme vivono oggi nei discorsi di figure come Éric Zemmour. Jean-Marie Le Pen se ne va come ha vissuto: divisivo, polemico, eppure ineludibile. Un menhir che, alla fine, ha ceduto solo al tempo.

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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