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J.D. Vance, il ragazzo della Rust Belt che sogna la Casa Bianca

Il mondo ha scoperto J.D. Vance il 28 febbraio scorso, quando, nello Studio ovale della Casa Bianca, nel bel mezzo di un alterco tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, ha mostrato un’inaspettata verve da protagonista. Il vicepresidente degli Stati Uniti ha apostrofato il leader ucraino con una durezza senza precedenti, mentre Trump, di solito incline a rubare la scena, assentiva in silenzio. Un fatto inaudito. Mai, nell’epoca dei media, si era visto un vicepresidente rivolgersi con toni tanto ruvidi al suo interlocutore, per giunta sotto gli occhi del presidente.
Lo stesso tono che aveva adoperato alla Conferenza di Monaco, dieci giorni prima, per apostrofare l’Unione europea, accusandola di essere antidemocratica per aver ostacolato un movimento sovranista – l’Afd – che puzza di neonazismo. Negli Stati Uniti Vance era già un personaggio stranoto, soprattutto grazie al suo libro Elegia americana, autobiografia potente che riassume l’epopea dei “bianchi poveri” e che nel 2016 aveva conquistato milioni di lettori (ne è stato tratto anche un buon film da Ron Howard) e che ha costituito il trampolino per la sua ascesa politica, fino a portarlo, a soli 40 anni, sull’Air Force Two, il Boeing a disposizione dei vicepresidenti americani. Il succo di Elegia americana è la capacità che dovrebbe essere data a ogni americano di innalzarsi e spiccare il volo nonostante la gravità della sua condizione sociale. In fondo, è la versione contemporanea della frase di John F. Kennedy pronunciata nel suo discorso inaugurale, quando prestò giuramento da 35esimo presidente degli Stati Uniti: «non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese».

Vance è l’ideologo di Trump – un pragmatico senza ideologia, a parte l’ottica economica-finanziaria – ed è stato l’asso nella manica di “The Donald” per ottenere e radicare i consensi degli elettori della “Rust Belt”, la cintura industriale manifatturiera americana devastata dalla crisi economica. Come ha fatto a conquistarlo? Semplice: è uno di loro. Vance “lo spaccone” dovete immaginarvelo senza giacca e cravatta, con un cappellino da magazziniere o un casco da operaio, nell’America profonda della regione degli Appalachi, in un paesaggio di case coloniche decrepite, roulotte abitate, fast food, colline verdeggianti che si incendiano dei colori autunnali, cani randagi e discariche abusive. Dove gli abitanti, detti “hillbilly” (buzzurri) vivono secondo un codice di giustizia da Far West e le risse sono un elemento del paesaggio.

Le sue radici affondano a Jackson, nel Kentucky, ma è nato e cresciuto a Middletown, Ohio, nel cuore della classe operaia che una volta costituiva la spina dorsale del ceto medio americano e che oggi vive di sussidi, scuole disastrate e droga, principale serbatoio dei repubblicani che hanno votato Trump. L’infanzia di J.D. (James David) Vance sembra scritta da Dickens ed è un campionario di disagi: un padre che lo abbandona, una madre alcolizzata, drogata e nevrastenica, che a nove mesi gli riempiva il biberon di Pepsi Cola. La sua casa è attraversata da molti patrigni di passaggio, i fidanzati della mamma. La nonna («la miglior cosa che mi sia capitata nella vita») è stata la sua figura di riferimento, una signora amorevole e un po’ mattocchia che portava sempre una pistola nel cappotto o sotto il sedile della macchina e che gli faceva i complimenti se a scuola si era scazzottato per una causa nobile. Capirete che con un retroterra simile arringare con fare da bullo qualcuno in pubblico – che si tratti della presidente della Commissione europea o il presidente dell’Ucraina in guerra da tre anni – gli venga naturale. Ma in realtà gli attacchi di Vance non sono mai attacchi d’ira: «Quando è arrabbiato, è perché lo vuole», ha scritto il periodico New Yorker. Vance è un “hillbilly” lucido e intelligente che ha saputo riscattarsi, reincarnazione post moderna del sogno americano, un esempio per tutti i “buzzurri” americani come lui: studente brillante, dopo la laurea alla Ohio University è stato ammesso all’Università di Yale. Si è arruolato nei marine ed è stato in Iraq, ha sposato una donna di origine indiana brillante e colta come lui, conosciuta a Yale, Usha Chilukuri, assistente di importanti giudici a Washington, tra cui il presidente della Corte suprema John Roberts, che gli ha dato tre figli. Ha anche scalato a poco a poco tutti i ranghi del potere politico fino a divenire senatore dell’Ohio, facendosi notare da Trump, che si era fatto leggere da un assistente il suo libro mentre giocava a golf a Mar-a-lago e ha finito per sceglierlo – tra tanti aspiranti – esattamente 24 ore dopo l’attentato.

Nel 2019 si è convertito al cattolicesimo, affermando che la fede gli ha dato un sistema di valori per essere un marito e un padre migliore. Ma la sua religiosità ha anche un forte peso politico: Vance la usa per sostenere le sue idee conservatrici e attaccare i valori progressisti, abbondando con la demagogia. Nei suoi discorsi cita sant’Agostino e la decadenza dell’antica Roma, facendo leva su un nazionalismo che esalta l’America e perseguita e alza muri contro i “fratelli” immigrati.

Negli Stati Uniti, il peso di un vicepresidente dipende sempre da quanto gliene concede il presidente. Roosevelt ignorava Truman, Carter diede ampi poteri a Mondale. Trump sembra seguire questo secondo atteggiamento e già si parla del suo vice come del prossimo presidente degli Stati Uniti. È funzionale per “The Donald” questa povertà che diventa rabbia, odio per i politici tradizionali e gli immigrati e si trasforma in consenso e conservatorismo vicino alla classe operaia, combattiva contro i valori progressisti e woke, isolazionista in politica estera, nazionalista sull’immigrazione (pur essendo Vance un immigrato figlio di immigrati). Una povertà che i democratici, con cui simpatizzava in passato (aveva anche deriso Trump), non sono stati in grado di intercettare. Lo “spaccone” ha saputo prestare all’attuale presidente quel bagaglio di idee proveniente da quella lontana regione degli Appalachi che ha finito per contagiare l’America. E che ora l’America vuole imporre al mondo.





Dal sito Famiglia Cristiana

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