Cronache di una insolita degenza al Policlinico Agostino Gemelli di Roma, nono piano, reparto solventi. Sì proprio lì: al piano superiore, il decimo, è stato ricavato l’appartamento predisposto per il Papa e il personale che si prende cura di lui in queste settimane di malattia. Una presenza, a poche decine di metri in linea d’aria, discreta e silenziosa, che non modifica assolutamente la vita dei reparti, scandita dalle visite dei medici, la somministrazione delle terapie, le ore di veglia e di riposo, il vitto, ma in qualche modo rende eccezionale, unico, un ricovero ospedaliero. Anche se la vicinanza di un malato così illustre non poteva essere più discreta. Solo la sera precedente il mio trasferimento dal Pronto soccorso, la sagoma di un gendarme pontificio mi aveva illuminato, poi però più nulla.
Cosa si prova soffrendo di una patologia polmonare, mentre Papa Francesco, quasi a due passi da te, condivide la stessa sofferenza, anzi con punte più acute? La cadenza quotidiana dei bollettini medici è ogni volta uno squarcio di diagnosi che ci si sforza di applicare al proprio caso, pur consapevoli che ogni paziente è una storia a parte. Certo, tutte le differenze del caso vanno messe nel conto, ma c’è un dato comune nei testi letti ogni sera dai sanitari: ed è l’atteggiamento di Papa Francesco nei confronti della malattia, che pure non gli risparmia sofferenze. Il Papa guarda alla sua malattia con fiducia, fiducia nelle cure che gli vengono somministrate e nella loro efficacia. E con quella speranza che è la cifra con la quale ha voluto connotare l’anno giubilare iniziato con l’apertura della Porta santa di San Pietro. E in qualche modo, con il suo esempio silenzioso, Francesco ci esorta a condividere l’apertura del cuore alla speranza.
Fiducia e speranza diventano così le coordinate di una pastorale del dolore , che dai reparti del grande ospedale, a cominciare dal più elevato, che ospita il paziente più illustre, (ma si direbbe anche uno fra i tanti) si diffondono ovunque e non quasi solo qui, in tutti i luoghi del dolore, dove l’infermità costringe a ridurre le attività anche le più condivise ma oggi temporaneamente sospese, come la preghiera domenicale dell’Angelus. In attesa naturalmente che l’affettuosa consuetudine possa riprendere regolarmente, sia pure dal balcone di un nosocomio.
La mia degenza si conclude con le dimissioni proprio nei giorni di maggior sofferenza del Papa e di più intensa preghiera per la sua salute. Anche questa insolita cronaca si deve interrompere, sempre con lo sguardo rivolto alla fiducia, alla speranza.
Intanto, per chi ha condiviso per oltre una settimana le sofferenze del Papa, praticamente quasi a portata di sguardo, resta l’esperienza indimenticabile della sofferenza che si apre alla speranza.