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In scena a Milano: al Teatro Oscar il 19 dicembre Massimo Popolizio in “Due Uomini: Roncalli e Montini all prova del tempo”


Due Uomini. Roncalli e Montini alla prova del tempo è il nuovo spettacolo-lettura che Luca Doninelli, scrittore e direttore del Teatro Oscar deSidera di Milano, ha ideato per Massimo Popolizio, in scena domani 19 dicembre. Già cimentatosi con figure storiche cruciali – Mussolini l’ultimo, nell’adattamento teatrale del testo di Scurati – questa volta Popolizio dà vita alle voci delle complesse e sfaccettate personalità che hanno cambiato il volto della Chiesa e dalla storia italiana nel secolo scorso: Papa Giovanni XXIII e Papa Paolo VI. Due ritratti che si snodano su diversi capitoli, intervallati dalla musica della violoncellista Giovanna Famulari, per raccontare gli uomini, prima che i personaggi, in un viaggio emotivo nei decenni più complessi della storia italiana.
Abbiamo intervistato Popolizio per raccontarci come hanno costruito la lettura.

La lettura affronta figure complesse come Roncalli e Montini, due uomini molto diversi ma uniti dal peso della storia. Come ha lavorato per restituire la loro umanità e, al tempo stesso, il contesto storico in cui hanno agito?

«È un testo di Luca Doninelli che racconta la storia di Papa Giovanni e di Papa Montini. Le loro diversità, la loro difficoltà nel tempo in cui sono vissuti, il loro essere innovatori. Fuori dal cliché del papa buono, Doninelli racconta che Papa Giovanni era piuttosto determinato a cambiare un certo tipo di struttura attraverso il concilio vaticano, che ha voluto fortemente e che però non è riuscito a portato a termine nella sua idea di una chiesa diversa. E allo stesso modo Montini, in un’epoca diversa, travagliata da guerre, le Brigate Rosse, la sua amicizia con Moro, la famosa lettera al Corriere della Sera. In un’ora si cerca di fare non un bignami della storia, ma di raccontare uno spaccato secondo il punto di vista di Luca Doninelli. Io con le parole cerco di far vedere alle persone delle immagini. Le mie parole contestualizzano la storia. Cerco di far vedere le situazioni che sono descritte, di fare dei campi lunghi, come se raccontassi un film». 

Come si integra la musica con la sua interpretazione?

«La musica è pensata come un respiro musicale. Non credo tanto alla commistione tra musica e parole. È piuttosto un momento per respirare dopo tante parole, perché sono 41 pagine di testo, lette stando fermo sul palcoscenico, senza scenografia, senza cambio luci. Ascoltare un attore che parla, anche in modo infervorato, molto appassionato, come faccio io, richiede un minimo di respiro. Anche perché il testo è diviso in capitoli, e proprio per dare a ciascuno un senso, tra uno e l’altro c’è uno spazio musicale». 

Come emergono le figure dei due papi?

«Quelle che vengono ritratte sono soprattutto due figure umane. Il testo è in prima persona. Luca racconta la storia di due papi, anzi di due uomini, di due grandi uomini testimoni del tempo. È quindi proprio l’autore che racconta in prima persona, partendo dalla propria concezione di tempo: è la nonna che sbucciava i fagioli e vederli aumentare nella ciotola era per lui il senso di tempo che scorre. È un racconto personale. È anche il racconto di sua mamma che aveva un medaglione con tre personaggi importanti, Kennedy, Papa Giovanni e credo che ci fosse Stalin dall’altra parte. Una triade assurda che però dà l’idea di quell’epoca, di quanto valeva la speranza di quel tempo. È quindi il racconto emotivo del dopoguerra, di cosa significava per tutti l’idea di futuro, di costruzione, cose che oggi fanno anche un po’ impressione dato che un’idea di futuro non c’è». 

C’è un passaggio, una frase particolarmente significativa? 
«I due papi sono testimoni del tempo, ma bisogna starci nel tempo. Noi di norma invece scappiamo dal tempo. Per cambiare le cose bisogna stare nel tempo e bisogna investirlo emotivamente, altrimenti non si può cambiare».

 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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