«Scherza coi fanti e lascia stare i santi,» dice il noto proverbio, ricordato anche da Roberto Lipari, il comico di Striscia la notizia che Credere intervista questa settimana (vedi servizio a pag. 18). Ma l’umorismo può avere spazio e senso nella vita cristiana? Una lunga schiera di grandi cristiani è testimone di un sano umorismo: da san Lorenzo, che sulla graticola chiedeva di essere girato dall’altra parte, a san Filippo Neri (penso all’aneddoto della gallina spennata per far capire gli effetti irreversibili delle maldicenze). Più recentemente, Roberto Benigni è stato capace di farci ridere e riflettere insieme, parlando della Bibbia e della Divina Commedia. E lo stesso fa don “Gioba” (Giovanni Berti) con le sue ironiche e graffianti vignette. D’altro canto, Gesù stesso si serve del paradosso, dell’ironia, dell’iperbole: pensiamo al detto del cieco che cerca di guidare un altro e finiscono entrambi in un fosso o a quello sul cammello che passa nella cruna dell’ago… Insomma, l’umorismo giudaico-cristiano ha radici antiche, che affondano nei testi biblici.
La psicologia e la medicina ci dicono che ridere fa bene alla salute e all’anima, e questo è ben presente nella tradizione cristiana (vedi, per esempio, la Preghiera per il buon umore di Tommaso Moro). Non stiamo parlando ovviamente di quel sarcasmo malevolo che mira a ferire e umiliare l’altro con la derisione o la sua svalutazione. Piuttosto, pensiamo a un sano umorismo. Ma perché questo ci fa bene spiritualmente? Secondo papa Francesco, «l’attitudine umana più vicina alla grazia di Dio è l’umorismo». L’umorismo buono vede il lato buono e contraddittorio della vita con benevolenza, anche di noi stessi, ci fa relativizzare e ridimensionare le cose che prendiamo per assoluti… E se pensiamo che il massimo ribaltamento dei criteri umani operato da Dio è la croce (1Corinzi 1,27), capiamo che l’umorismo ha un senso anche per la vita spirituale. Pensiamo alle esperienze di vita condivisa, dove persone che sanno buttare lì una battuta al momento giusto aiutano tutti quanti a creare un’atmosfera serena e distesa.
In una tradizione che, più che al sorriso, ci ha abituato all’ascesi e alla penitenza “triste” (con la “faccia da funerale”, come ripete spesso Francesco), deve ritrovare un suo posto e la sua dignità anche la leggerezza. Non per niente Francesco ha dedicato un’enciclica alla santità col titolo che richiama la gioia. Nella Gaudete et exsultate, che ha una sezione dedicata alla gioia e al senso dell’umorismo, leggiamo tra l’altro: «Quanto detto finora [sulla santità] non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è “gioia nello Spirito Santo” (Romani 14,17)» (n. 122). «Il malumore», scrive ancora, «non è un segno di santità» (n. 126)!
Allora proviamo tutti quanti, cari amici, ad affrontare le nostre giornate con questa luce nelle nostre relazioni, nei nostri impegni: la vita ne guadagnerà in qualità. E se poi volete sorridere con garbo anche delle “cose cristiane”, vi suggerisco la lettura di Anche Dio ride (San Paolo, 2019) di padre James Martin.