Anche in questo Giovedì Santo Francesco ha compiuto un gesto concreto per chi vive dietro le sbarre: “Sempre mi è piaciuto venire in carcere per fare la lavanda dei piedi. Quest’anno non posso, ma sono vicino a voi”. Circa 70 reclusi di diversa età e nazionalità lo hanno accolto tra cori e applausi, mischiati a quelli di altri detenuti delle sezioni protette. A tutti il Pontefice ha regalato Vangeli e Rosari e con alcuni si è fermato per ascoltare storie e assicurare preghiere
Salvatore Cernuzio – Roma
«Libertà!». «Indulto!». «Padre, padre!». «Siamo con te!». «Bello mio!». «Auguri!». «Non te ne andare!». «Prega per la Palestina!». Le grida dai finestroni delle tre sezioni che sovrastano la rotonda centrale della casa circondariale di Regina Coeli, a Roma, vegliata dalla statua di una Madonna con in braccio Gesù bambino, erano così forti da aver sovrastato la voce flebile ma decisa di Francesco.
«Sempre il Giovedì Santo mi è piaciuto venire in carcere per fare come Gesù la lavanda dei piedi. Quest’anno non posso farlo, ma posso e voglio essere vicino a voi. Prego per voi e per le vostre famiglie»
Applausi, urla, mani sbattute sul vetro hanno accompagnato queste poche parole del Papa che, seppur convalescente, dopo 38 giorni di ricovero al Policlinico Gemelli, non ha voluto far mancare la sua presenza in un penitenziario come ha fatto quasi sempre in questo primo giorno del Triduo pasquale lungo i 12 anni di pontificato e, ancor prima, a Buenos Aires.
Tra cori e applausi
Mezz’ora in totale per un saluto e una benedizione a 70 detenuti di diverse età e nazionalità (il 55% dei quali in attesa di giudizio) e al personale di questa antica struttura di via della Lungara, alle spalle del rione Trastevere, ex convento divenuto nel 1881 carcere che, secondo la tradizione, concede la “patente” di romano a chi ne oltrepassa i famosi tre gradini. Un luogo più volte raggiunto dai Successori di Pietro, dove compì una memorabile visita san Giovanni XXIII nel dicembre 1958.
Più volte prima, durante e dopo la visita di Papa Francesco le guardie hanno richiamato all’ordine e al silenzio, ma era difficile contenere l’emozione di vedere il Vescovo di Roma nello stesso salone dove ogni domenica si riuniscono per ascoltare le catechesi o celebrare la Messa. Una sorpresa di cui sono venuti a conoscenza solo ieri sera.
Col Rosario al collo e il Vangelo in mano
«Ahò, sta na bomba, dopo quello che c’ha avuto, semo contenti de vederlo così», sussurra un uomo al suo vicino di sedia sentendo Francesco parlare. «Ci pensi? Siamo fortunati… La gente fuori non lo vede e noi dentro sì», dice invece più composto Suduc, da sei mesi in carcere. C’era lui, in prima fila, ad attendere il Papa, insieme a uomini dai 20 ai 65 anni di Italia e altri Paesi europei e addirittura altri continenti. Erano divisi in cinque file, mischiati tra le tre sezioni (tranne quelli della “protetta”). Quasi tutti indossavano un Rosario di legno al collo, alcuni portavano tra le mani il libretto delle preghiere o versioni tascabili del Vangelo.
I doni del Papa
Altri Vangeli li ha regalati il Papa stesso insieme alle coroncine del Rosario, passando tra le file e fermandosi con ognuno dei presenti, tra chi si buttava in ginocchio, chi gli baciava la mano o poggiava la fronte sulla carrozzina. «Me ne può dare un altro? Per favore, tra poco esco e glielo voglio dare a mia sorella», ha urlato un ragazzo alzandosi dalla sua sedia. Il Papa si è fermato per qualche istante con Ferdinando, recluso da dicembre. Carnagione scura, le sopracciglia tagliate come tanti piccoli trattini, per tutto il tempo ha stretto tra le mani un foglietto bianco con sopra scritto: «Che la luce del Signore possa illuminare la mia vita e quella della mia famiglia. Grazie Papa per avere degnato della vostra presenza». Fremeva prima dell’arrivo del Pontefice e più volte ha chiesto alla direttrice Claudia Clementi, anche lei emozionatissima: «Mi aiuta a darlo al Papa?». «Tranquillo, dopo vediamo se è possibile».
Alla fine è stato lui stesso a metterlo nelle mani di Francesco che ha chiesto di fermarsi un attimo con il ragazzo per informarsi della sua famiglia. «Prego per te», ha assicurato alla fine. Ferdinando è scoppiato a piangere: «E chi l’aveva mai visto il Papa! Non pensavo di trovarlo in carcere». «Dillo che ce sei venuto a posta!», ha fatto eco un compagno.
Storie di vita e di sofferenza
Nella confusione generale, tra i cori, i colpi alle vetrate e le gridate mai interrotte, Papa Francesco ha scambiato qualche parola anche con Matteo, 26 anni, che gli ha chiesto di firmare la sua copia del Vangelo. Racconta di essere da un mese e mezzo al Regina Coeli «per errore»: «Difendevo la mia ragazza da una tentata violenza, solo che m’hanno fregato. Quello è andato a dire, con falsi testimoni, che io invece lo stavo aggredendo e rapinando. Lui sta fuori e io qua».
Una storia di sofferenza come le tante che nei trenta minuti della visita del Papa si intrecciano nel salone già visitato da Francesco nel 2018, in quell’occasione per celebrare il rito della Lavanda dei Piedi (una targa sul muro ricorda l’evento). C’è chi ha tanta voglia di parlare, come Giovanni – alla consolle per l’audio – che spiega di essere lui e altri «amici» autori di una lettera al Papa, dopo la visita a Rebibbia, lo scorso 26 dicembre, per l’apertura della Porta Santa. «Gli abbiamo scritto “passi anche da noi”. Oh, abbiamo pregato ed è venuto davvero!». C’è chi come Mauro, 65 anni, che si presenta fieramente come «romano de Roma», chiede ai media vaticani di diffondere un messaggio: «Volevo dire al Papa di insistere sulla pace in questo mondo che sta andando in tecnologia»; accanto a lui Alessandro, 56 anni, che supplica di inviare un saluto ai due figli, Vittoria Romana e Gabriele, e alla loro mamma: «Ricordati, eh! Te sei segnato i nomi? Non li vedo da diciotto mesi. Gli mando un bacio grande».
I baci verso le grate
Baci li ha mandati con la mano anche il Papa verso la folla di presenti, verso quelli appiccicati ai finestroni e anche ai detenuti i cui occhi sbucavano da dietro le grate affacciate nel cortile, dove la Fiat 500 L bianca ha fatto il suo ingresso intorno alle 15, tra gli applausi dei poliziotti. «Prega per noi!». Francesco ha risposto con un pollice in su e con lo sguardo ha seguito, dal finestrino dell’auto, tutta la fila di finestrelle: «Pregate per me», ha scandito.
Le sue impressioni sulla visita le ha affidate a un gruppo di giornalisti fuori dal portone: «Ogni volta che io entro in un posto come questo mi domando: perché loro e non io?». Poi alla domanda «come vivrà la Pasqua?», una battuta col suo tipico piglio ironico: «Come posso».
Il cappellano: come un padre qui tra noi
Mentre l’auto girava l’angolo del Lungotevere tra i volti stupiti dei passanti, subito pronti coi loro smartphone, al Regina Coeli si è acquietata la confusione e si è iniziato a metabolizzare l’emozione. Se ne fa portavoce con i media vaticani il cappellano padre Vittorio Trani, da anni in missione in mezzo a questa umanità complessa e ferita: «Credo che quello di oggi sia un gesto di una portata enorme perché esprime l’attenzione di un padre verso una realtà di persone in difficoltà. Il carcere non riguarda soltanto i detenuti, ma anche chi vi lavora, chi ha la responsabilità della dirigenza, veramente è un lavoro arduo. E il Papa non ha voluto far passare la Pasqua senza un qualcosa che tangibilmente portava nel cuore».