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Il mondo diviso dopo le accuse di crimini di guerra contro Netanyahu e Gallant

Nel mondo continua a suscitare reazioni contrastanti il mandato di arresto per crimini di guerra della Corte penale internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dell’ex ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e del capo dell’ala militare di Hamas, Mohammed Deif (che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza).

Oltre alle reazioni indignate da Israele (Netanyahu ha immediatamente definito la decisione del tribunale “antisemita” e ha affermato che si tratta di una iniziativa “paragonabile a un moderno processo Dreyfus”), il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha definito “oltraggioso” il  mandato di arresto, mentre l’attuale capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha dichiarato che i mandati di arresto devono essere rispettati e applicati.

Va subito precisato che la vicenda non ha nulla a che vedere con l’altro procedimento in corso,sempre all’Aja ma davanti alla Corte internazionale di giustizia, sulle accuse allo Stato di Israele di commettere un “genocidio” contro i palestinesi, mosse principalmente dal Sudafrica. La Corte Penale internazionale giudica gli individui, mentre la Corte di Giustizia giudica gli stati.

I giudici hanno dichiarato che vi sono  “ragionevoli motivi” per ritenere che  Netanyahu, Gallant e Deif abbiano “responsabilità penali” per i crimini commessi durante la guerra tra Israele e Hamas. Come spiega Chantal Meloni, docente di Diritto penale internazionale all’Università Statale di Milano  e autrice del saggio “Giustizia universale? Tra gli Stati e la Corte penale internazionale: bilancio di una promessa” (il Mulino), “la situazione della Palestina, tornata in primo piano sullo scenario mondiale dopo i gravi attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, è pendente davanti alla Corte Penale Internazionale da molti anni”. Già nel 2009 il primo Procuratore della Corte, Luis Moreno Ocampo, aveva avviato un esame preliminare dell’operazione militare israeliana “Piombo Fuso”.

La Corte è stata istituita a Roma  il 17 luglio 1998, con il voto favorevole di 120 Stati, 21 astensioni e 7 voti contrari (quelli di Cina, India, Filippine, Sri Lanka, Stati Uniti e Turchia). Gli Stati che riconoscono la giurisdizione della Corte sono tenuti a procedere all’arresto delle persone nei confronti delle quali è stato spiccato il mandato di cattura. Si tratta di un obbligo vincolante, tuttavia non sempre i membri della CPI decidono di eseguire i mandati. Putin, ricercato per crimini di guerra in Ucraina, nel settembre scorso fu accolto con tutti gli onori in Mongolia (stato membro della Corte) e nel 2015 il dittatore somalo Omar al-Bashir non fu arrestato durante una visita in Sudafrica.

Oggi il primo ministro ungherese Viktor Orban, il cui Paese detiene la presidenza di turno dell’Ue, ha annunciato che inviterà il suo omologo israeliano Benyamin Netanyahu per protestare contro il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale.”Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò” Netanyahu “a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto”, ha dichiarato in un’intervista alla radio statale. A Salvini si è accodato Matteo Salvini. “Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”. Lo ha detto il vicepremier Matteo Salvini a margine dell’assemblea Anci. Ma per il ministro della Difesa, Guido Crosetto, “il mandato va eseguito”.

In ogni caso il mandato di cattura è un duro colpo per la reputazione di Israele che, come scrive il Jerusalem Post, “è stato percepito nel corso degli anni come Stato democratico di stampo occidentale”.  Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, “Israele ha perso la battaglia legale e ha un solo modo per superare questa decisione e le sue implicazioni: reclutare la prossima amministrazione statunitense per dichiarare guerra totale alla Corte Penale Internazionale”. Una strategia che potrebbe funzionare con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca.





Dal sito Famiglia Cristiana

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