Quasi sempre nei giovani unilaterali, senza la relazione con l’altro, nel Narcisismo maligno, è forte l’invidia verso chi è più riuscito rispetto a se stessi. Così, cercano di riportare il partner, più riuscito, a sentirsi impotente, fragile, incapace come lo è lui, ricomponendo, così, la simmetria. Nel delirio di onnipotenza del Narcisismo maligno, arrogante impulso a trascendere ogni limite, cova, infatti l’impotenza dell’invidia, della gelosia.
Quando l’onnipotenza subisce una frustrazione, quando si imbatte nel limite, allora si cade, si precipita (come Lucifero), nel gorgo della sconfitta: la potenza diventa impotenza, il senso di superiorità diventa senso di inferiorità, l’arroganza si trasforma in rancore, la fiducia nel proprio valore in fallimento e dall’impotenza nasce inesorabile l’impulso invidioso.
Queste le premesse che collegano femminicidio e invidia. Di fatto la passione invidiosa è un risentimento nel vedere il proprio bene messo nell’ombra dal bene dell’altro, più riuscito. Ricordiamo, qui, Caino e Abele. Il peccato di Caino è denso di implicazioni simboliche: ci conferma la mescolanza tra invidia (verso Abele) e la gelosia (verso Dio che preferisce i doni di suo fratello), e ci mostra come la violenza di questa passione livida e silenziosa, possa sfociare nell’azione malvagia e criminosa, fino all’atto omicida. Ma soprattutto ci rivela che la condanna di Dio (che destina Caino a un’esistenza triste e fuggiasca) colpisce coloro che infrangono il precetto fondamentale di “amare il prossimo” (Dt. 5, 21; Es. 20, 17). E, oggi è sempre più evidente un Narcisismo maligno che tende ad eliminare chi non si riesce a controllare a conformare, e la spinta a godere in modo autistico, senza alcun legame con l’altro, rigettando i limiti e “le cose dell’amore”. Per questo Narciso è sempre un Caino. Il gesto di Caino trova il suo fondamento, infatti, in quello di Narciso: rifiutare il limite, perdersi nella propria immagine, cancellare le mancanze e ogni frustrazione. Così, l’invidia non sente ragioni e mette in croce la sua vittima.
È un sentimento disgregante e distruttivo che uccide l’amore, sacrificandolo ad un inarrestabile desiderio di rivalsa. L’invidia e il risentimento sono quindi vizi relazionali negativi e distruttivi verso l’altro. Massima espressione dell’”anti-amore”. L’invidia, infatti, presuppone il “confronto”, il bene dell’altro appare come uno scacco, una diminuzione del proprio essere, l’eccellenza dell’altro viene percepita come diminuzione della propria. Non è infatti, un confronto emulativo o simpatetico, ma di distruzione.
Come ci insegna Max Scheler, il confronto è una struttura universale dell’umano, ma può assumere connotazioni diverse: l’uomo nobile possiede la coscienza del proprio valore “prima” di confrontarsi con l’altro, l’invidioso la sviluppa solo” al momento della comparazione e in forza di questa”. L’opprimente coscienza della propria inferiorità, dovuta al fatto che sente di non poter accedere agli stessi beni o qualità che l’altro possiede, sfocia in una penosa tensione, e viene per così dire risolta attraverso la negazione o soppressione dell’altro, pensando “magicamente” che solo così lo scacco, scompaia. Ed è proprio nella “prossimità” che il confronto si inasprisce e sfocia nell’azione malvagia, fino all’atto omicida. Ci afferra di fronte al successo di un parente, di un collega di lavoro, di un compagno di studi, rispetto ai quali, male si digerisce la più piccola differenza. Quella differenza diventa un doloroso segno di frustrazione, inaccettabile.
L’invidia può assumere forme molteplici, che presuppongono tutte, la volontà di danneggiare l’altro: svalutandolo, lodando qualcuno per svalutare qualcun altro, giocando l’uno contro l’altro, danneggiandone l’immagine, il valore al fine di placare (erroneamente) la propria frustrazione. O cercando di stemperarne la violenza con l’autocommiserazione, la tristezza esistenziale; lo scacco, con le “passioni tristi”: depressione, angoscia della vita, infelicità. Un segno, però c’è, spesso inequivocabile e si può cogliere negli occhi. “In-video” significa “senza visione”, “non sopportarne la vista”, “volto buio”. Uno sguardo triste, rancoroso, sofferente. È dall’occhio malefico, dice Plutarco (nelle Questioni conviviali) che partono quei raggi mortali, in quello sguardo si esprime un dispiacere astioso, una sofferenza rispetto al bene, alla qualità dell’altro, poiché percepisce la propria carenza con maggiore amarezza.
Così dalle parole di Elena Cecchettin (Il Messaggero 18/11/2023): “Filippo le controllava il telefono, le uscite. Una smania coercitiva che non si limitava al controllo del telefono di Giulia o alle sue uscite, ma si estendeva anche allo studio: il ragazzo le aveva detto chiaro e tondo che non sopportava il fatto che lei si laureasse prima di lui. Filippo diceva sempre che lei doveva rimandare la laurea, che doveva aspettarlo. Lui sapeva di avere dei problemi, ma non voleva guarire, non cercava aiuto…”. E dal Memoriale di Filippo Turetta (Tribunale di Venezia 2310/2024) si legge: “(Giulia) doveva aiutarmi con gli esami…non ce l’avrei fatta se non mi aiutava, e sarei rimasto indietro…Non era giusto non aiutarmi…se non ci laureiamo “assieme” la vita è finita per entrambi”. (pag. 23). E ancora: “A 16-17 anni ero invidioso di tanti altri ragazzi che vedevo avere molti amici con cui si trovavano spesso. . tanti con bei gruppi e/fidanzati. Io ero molto invidioso di questo, del carattere di chi era esuberante, spavaldo, che si buttava in tutto senza problemi… Io ero solo, mi odiavo perché avrei desiderato essere come loro. Mentre sono sempre stato timido, senza spirito di iniziativa, intraprendenza. Di tutte queste cose che altri avevano ero molto invidioso…” (pag. 39 e sgg.). E conclude Elena (Cecchettin), riflettendo sulla società: “Molti uomini fin da bambini sono trattati con le pinze, non vengono responsabilizzati anche da un punto di vista emotivo a saper accettare un “no” e a chiedere aiuto e ciò non facilita l’accesso a psicoterapia e ad educazione affettiva. Ecco, noi crediamo invece, che il lavoro psicologico di comprensione di sé, e di aiuto, sia un “valore” sociale, che determina cambiamenti non solo personali, ma per il Bene comune… E fa superare la paura di perdere la supremazia narcisistica, nella contemplazione maligna di sé.
Beatrice Balsamo
Filosofa della Persona, Psicoanalista, specializzata in Etica, Comunicazione e Cinema. Collabora con l’Università di Bologna, Parma, Ferrara per l’insegnamento di Scienze Umane e Filosofia della Persona. È Presidente di APUN (APS) – Associazione Psicologia Umanistica e delle Narrazioni. Filosofia Arte Scienze Umane. Ideatrice del CINECare – Cinema per pensare, a sostegno dei più fragili, è Direttore scientifico dell’Evento internazionale MENS-A/ Pensiero e Dialogo, che si svolge nell’intera Regione Emilia-Romagna. Nel 2023 è stata conferita alla Prof.ssa dal Presidente della Repubblica, l’onorificenza di Cavaliere dell’ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” per le tante iniziative culturali e sociali innovative e attenzione agli altri. Tra le sue numerose pubblicazioni: Amore sussurro di una brezza leggera (2013), Elogio della dolcezza (2017) e, con Mursia, Nella Bellezza. Quando la parola manca (2020). Saggezza gentile. In una scia di parole (2023).