inviata a Kyiv
La nuova amministrazione americana, uscita dal voto del 5 novembre, sarà determinante per la guerra in Ucraina. Nei giorni scorsi, dopo la sua elezione, Donald Trump ha avuto colloqui telefonici sia con Zelensky sia con Putin. Con entrambi ha discusso una possibile via d’uscita dal conflitto, ipotizzando un negoziato che metta fine a una guerra ormai in corso da quasi tre anni. In particolare, sembra che a Putin il nuovo presidente americano abbia chiesto di evitare un’escalation del conflitto. Per l’Ucraina si apre una fase molto delicata. Tra i cittadini c’è la consapevolezza che in questo momento si potrebbe decidere il loro futuro.
Nel Paese si vive una dimensione di sospensione e attesa, in bilico tra speranza, preoccupazione e disincanto. Tutti sono stanchi della guerra, che sta costando all’Ucraina un prezzo altissimo in termini di vite umane; tuttavia, dopo quasi tre anni di sacrifici, l’idea di una via d’uscita che richieda ampie concessioni alla Russia non piace a nessuno. È chiaro a tutti che sedersi al tavolo delle trattative significherà inevitabilmente perdere e cedere qualcosa.
Le opinioni e i sentimenti della gente che abbiamo incontrato qui a Kyiv sono vari e a volte contrastanti. C’è chi è irremovibile e ritiene che l’Ucraina non debba cedere proprio adesso, dopo aver perso tante vite, e che se Putin vorrà distruggere il Paese lo farà comunque. Lo pensa, per esempio, Roman, un soldato di 27 anni. Secondo lui, bisogna continuare a combattere fino alla fine, senza compromessi, perché in guerra, per lui, non esistono sfumature. Come Roman, anche altri soldati si dichiarano pronti a morire sul campo di battaglia per il loro Paese. C’è invece chi sperava nella vittoria di Trump, confidando che almeno lui avrebbe cercato di porre fine alla guerra, sebbene regni incertezza e preoccupazione su quali condizioni verrebbero imposte: il futuro, per molti, resta un’incognita, e molti guardano ai possibili accordi con disillusione.
Monsignor Vitaly Krivitsky, vescovo della diocesi di Kyiv-Zhitomir, salesiano di Odessa, ricorda che tre anni fa tutti erano convinti che la Russia dovesse rispettare i confini ucraini. Ora, invece, si sente dire che gli ucraini dovrebbero cedere parte dei loro territori a Mosca. Gli accordi, dice il vescovo, spesso non sono sinceri: si prende una decisione, ma poi viene disattesa. Krivitsky parla di pace giusta, ricordando che non esiste pace senza giustizia. Tra gli ucraini è diffusa la paura, la preoccupazione per il futuro, non solo della loro terra, ma anche dell’Europa e dell’Occidente, poiché si teme che la guerra non finisca qui, ma possa estendersi ad altri Paesi europei.
Per gli ucraini il futuro è un’incognita, indipendentemente dagli accordi e dai negoziati. Intanto, qui i bombardamenti russi continuano in modo esteso, costante e massiccio. Qui nella capitale ogni notte risuonano allarmi incessanti, si registrano attacchi. Buona parte del Paese continua a essere sotto attacco. Nell’Est la situazione è drammatica. Nei giorni scorsi, a Zaporizhzhia è stato colpito un ospedale. Si parla di negoziati e accordi, ma come ricorda il vescovo di Kyiv-Zhitomir, ogni giorno gli ucraini sono attaccati e perdono altri villaggi e porzioni di territorio.
«Io penso che Mosca non volglia terminare la guerra almeno fino alla fine del 2024. Esprime molto chiaramente la sua opinione padre Miszka Romaniv, 45enne padre domenicano, fondatore del Centro per gli aiuti umanitari San Martino de Porres a Fastiv, cittadina a quasi 80 chilometri da Kyiv. «A mio avviso, finché avranno la forza per farlo i russi continueranno ad attaccare per avanzare ed estendere il più possibile le aree occupate, che nella loro visione resterebbero a loro».Mostra sul telefonino la grande manifestazione a Kherson che oggi, 11 novembre, ha celebrato il secondo anniversario della liberazione dall’occupazione russa. Padre Miszka viaggia spesso nella città meridionale, dove con il Centro San Martino ha portato e installato una cucina mobile per servire pasti alla gente in dififcoltà. «Io ero a Kherson otto giorni dopo la liberazione. La città era devastata, completamente al buio perché non c’era elettricità. Ma la gente era gioiosa per essere tornata libera. In questi quasi tre anni di guerra gli ucraini hanno sofferto tanto e tutti portano addosso le ferite, non solo fisiche, della guerra: se la politica dovesse prendere delle decisioni impopolari, non so se la popolazione le accetterebbe».