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Il fumetto vince la sua battaglia


«Fumettista s. m. e f. [der. di fumetto] (pl. m. -i). – Ideatore, disegnatore di romanzi, racconti, storie a fumetti. Per estens., e in tono spreg., autore di opere narrative, o di film, di scarso valore, […] superficiali e di facile effetto». Questa è la definizione che dava online fino a qualche giorno fa Treccani, il vocabolario italiano più aggiornato e curato. Ma non solo lei (vedi immagine). Una definizione che oggi, ancor più che 30 o 50 anni fa, contrasta profonfamente con il valore artistico e culturale portato dal fumetto sulle mensole di case, librerie e biblioteche. Così dopo una petizione lanciata dalla rivista di graphic journalism La Revue, Treccani ha annunciato l’aggiornamento della definizione di “fumettista” nel proprio vocabolario. Sarà eliminata l’accezione negativa che lo associava a opere superficiali e di scarso valore, riconoscendo così al fumetto la sua piena dignità culturale e artistica.


Una battaglia linguistica per la dignità del fumetto

La questione è emersa quando Massimo Colella, direttore editoriale di La Revue, progetto di giornalismo a fumetti nato a maggio 2022 e oggi edito da Fandango, si è imbattuto nella definizione di “fumettista” riportata da diversi dizionari, tra cui Treccani, Garzanti e De Mauro. «Ho scoperto questa definizione grazie a Giusy Gallizia, fumettista e illustratrice, che ne parlava indignata nelle sue storie sui social», racconta Colella. «Mi sono subito incuriosito e ho fatto una ricerca più approfondita. Ho trovato una serie di definizioni che riportavano più o meno lo stesso concetto: autore di opere mediocri, superficiali e di facile effetto».

Il problema, secondo Colella, non era solo il contenuto della definizione, ma anche la sua scarsa contestualizzazione: “Alcuni dizionari specificavano proprio che l’uso era spregiativo, altri invece no. Quindi risultava ancora più confuso e, per certi versi, offensivo».

La petizione e la risposta di Treccani

  

Da qui l’idea di lanciare una petizione, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere a Treccani e agli altri istituti di aggiornare la definizione. «Sapevo che la nostra comunità di fumettisti è piuttosto unita, quindi ho fatto un post sui social per vedere se il tema avrebbe suscitato reazioni. In effetti, ha scatenato un dibattito enorme», spiega Colella.

Nel giro di pochi mesi, la petizione ha raccolto oltre 1300 firme. «Non sono numeri giganteschi, ma sono firme di persone, illustratori, fumettisti e lettori, che si sono prese il tempo di capire la questione e aderire alla causa. Quando siamo arrivati a mille, ho scritto a Treccani, Garzanti, De Mauro e altri. Treccani è stata la prima a rispondere, pubblicando un annuncio ufficiale in cui riconosceva che la definizione era obsoleta e andava aggiornata».


Il significato culturale del cambiamento

Per Colella, questa battaglia non riguarda solo una questione linguistica: «Il linguaggio modella la percezione della realtà. Se un bambino che sogna di fare il fumettista va a cercare la definizione e legge che significa ‘autore di opere mediocri’, che immagine si farà di questo mestiere»?

Il riconoscimento ufficiale del valore del fumetto è essenziale, soprattutto alla luce della sua crescente importanza nel panorama culturale internazionale. «Basta vedere cosa accade in Francia, dove il fumetto ha un riconoscimento paragonabile a quello della letteratura», osserva Colella che dirige la rivista dalla capitale francese. «Anche in Italia le cose stanno cambiando: oggi le librerie dedicano interi piani ai fumetti, le graphic novel vincono premi letterari e il fumetto viene studiato nelle scuole. Questo aggiornamento linguistico è un piccolo passo, ma significativo».

Un settore ancora poco supportato

  

Nonostante il successo della petizione, Colella nota un certo silenzio da parte del mondo editoriale: «Gli autori hanno risposto in massa, molti hanno sostenuto l’iniziativa. Ma da parte degli editori e delle grandi case che pubblicano fumetti c’è stata meno reazione di quanto ci aspettassimo. Non voglio essere polemico, ma ci si potrebbe aspettare più coinvolgimento da chi guadagna grazie ai fumettisti. Solo un editore che ha reagito alla nostra petizione: Topipittori».

La Revue, la rivista che ha promosso la petizione, rappresenta un esempio concreto di come il fumetto possa essere un linguaggio potente anche nel giornalismo. »Il nostro obiettivo è sempre stato quello di alzare l’asticella, non abbassarla», afferma Colella. Che aggiunge: «Facciamo giornalismo serio attraverso il fumetto, dimostrando che è uno strumento di informazione con una sua autorevolezza».

Il graphic journalism combina la forza visiva del disegno con l’approfondimento del giornalismo d’inchiesta. «Nel nostro team, i giornalisti lavorano a stretto contatto con i fumettisti per tradurre i reportage in storie illustrate. In questo modo, possiamo raccontare temi complessi in una forma accessibile, senza perdere profondità». Questo grazie al lavoro di editor di Lorenzo Palloni, che si occupa di coordinare i giornalisti e i disegnatori e Andrea Coccia direttore responsabile che cura la parte giornalistica della redazione, valuta le proposte e pensa al migliore “taglio” che il reportage potrebbe avere.


Un cambiamento necessario

Tornando alla questione iniziale, quanto sia importante questa modifica lessicale? Massimo Colella risponde con determinazione: «C’è ancora tanta ignoranza attorno al fumetto. Qualcuno potrebbe dire che ci sono battaglie più importanti, ma per chi fa questo mestiere il riconoscimento è fondamentale. Se la lingua lo sminuisce, anche la percezione sociale ne risente».

In attesa che Treccani formalizzi l’aggiornamento, il messaggio lanciato dalla petizione resta chiaro: «Il fumetto non è più, e non è mai stato, una forma d’arte minore. Chi lo realizza merita rispetto. E ora anche i dizionari iniziano a riconoscerlo».





Dal sito Famiglia Cristiana

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