Che mistero questi potenti e sapienti orientali che si impegnano in un viaggio lungo e insidioso per seguire una stella. Il Vangelo è così concreto che non possono essere solo un simbolo, l’immagine di popoli diversi e lontani chiamati a riconoscere la manifestazione in terra di Dio. Lo interpretiamo il testo sacro, elaboriamo metafore dentro e oltre le parabole, eppure i destinatari degli evangelisti non erano teologi. A loro interessavano i fatti, raccontati in modo essenziale, scarno, senza fronzoli. Così ci hanno rivelato poco anche sui re Magi, ma sarebbe scorretto, tra tanti avvenimenti reali, credere che il puntuale, fedele Matteo si sia inventato una leggenda.
Non erano tre, anche se tre sono i doni – questi sì simbolici – che portavano per colui di cui erano in cerca. Non erano re, ma Magi e basta, cioè saggi, uomini di studio e di scienza. Non si sono inchinati davanti a una mangiatoia, perché una famiglia ebrea presentava al tempio il proprio bambino e sappiamo da Luca che Maria e Giuseppe rimasero a Betlemme 40 giorni, prima di recarsi a Gerusalemme. Dove sono andati dunque i Magi? A Betlemme, finalmente in una casa trovata dalla giovane coppia, o a Nazareth, dove avrebbero vissuto? Erano comunque dei “gentili”, cioè non ebrei, erano stranieri e non conoscevano le Scritture, non erano maghi, perché il termine Magi si riferisce a sacerdoti seguaci di Zoroastro, nell’impero persiano.
Però conoscevano le costellazioni e i passaggi dei pianeti, il loro incontro nei cieli, e si mossero per essere presenti a un evento eccezionale, che per forza doveva rappresentare una svolta, un segno. Quindi sono uomini che si muovono, in cerca. Sono uomini che sperano. Sono uomini umili, aperti al mistero, perché era ben arduo mettere insieme la congiunzione di Giove e Saturno con un neonato, povero, in un paese insignificante. Per loro, non per il re di Israele che la Bibbia la conosceva bene e come tutti sapeva che Betlemme era città di re, di Davide, del Messia delle profezie.
Ma Erode sta fermo, nella sua arrogante prosopopea e inutile furbizia, perché la potenza di Dio sconvolge i piani dei più astuti. L’Ingannatore perde sempre. Ripeto, non credo che i Magi siano figure immaginarie. Sono partiti da lontano perché ne valeva la pena. Volevano vedere, toccare con mano, la loro speranza era fondata su una certezza, o non avrebbero portato con sé ricchezze da donare. Un Dio che si incarna vale ogni meraviglia, anche se razionalmente inspiegabile.
La ragionevolezza segue strade più semplici: non solo i pastori, non solo gli “eletti”, ma Gesù nasce per tutti. Un Dio che nasce sconvolge le abitudini e le interpretazioni, che tendono sempre a ridurre Dio alla nostra misura.
Insomma, a questi Magi sconosciuti è apparso un angelo, li ha guidati per un’altra strada perché tornassero a casa, come testimoni. Ci crediamo o no, al Vangelo? Se sì, i Magi sono i primi protettori di questo Giubileo della speranza. I primi pellegrini, i primi capaci di vedere i segni, di inginocchiarsi, di usare l’intelligenza per aprirsi alla fede.