Era il 26 marzo del 2000 quando Vladimir Putin veniva eletto per la prima volta al Cremlino, mettendo le fondamenta per un potere che è continuato ininterrottamente per i 25 anni seguenti. Un quarto di secolo che ha visto la Russia cambiare radicalmente, sotto una deriva autoritaria e repressiva che ha trasformato le elezioni presidenziali russe in un evento di regime per rafforzare il suo controllo sul Paese. Quando vinse le elezioni nel 2000, Putin era già presidente ad interim dal 31 dicembre del 1999 (dopo essere stato primo ministro).
Laureato in Legge, in seguito funzionario dell’intelligence del Kgb, i potenti servizi segreti sovietici, dopo aver servito come vicesindando della città di San Pietroburgo, nel 1996 Putin si è trasferito a Mosca dove è diventato direttore dell’Fsb, il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa, che aveva sostituito il Kgb. Nel 2008, non potendo candidarsi per un terzo mandato consecutivo come presidente (dopo il secondo mandato dal 2004 al 2008), è stato designato primo ministro dal delfino Dmitrij Medvedev, eletto al Cremlino. Nel 2012 si è nuovamente candidato alle presidenziali ottenendo la vittoria con il 64% dei voti fino al 2918, dopo aver fatto approvare una riforma costituzionale che ha allungato il mandato presidenziale da 4 a 6 anni. Ha poi cancellato il limite di due incarichi presidenziali consecutivi riservandosi la possibilità di candidarsi nel 2024 e ancora nel 2030.
Il terzo mandato è stato segnato dalla crisi della Crimea (nel 2014), occupata e annessa illegalmente alla Federazione russa, dall’intervento militare nel Donbas, la regione dell’est dell’Ucraina dove un’insurrezione armata ha dato vita alle autoproclamate repubbliche secessioniste di Donetsk e Luhansk sostenute e finanziate, appunto, da Mosca. Eletto di nuovo nel 2018 per altri sei anni, nel 2022 Putin ha ordinato l’invasione militare su vasta scala del territorio ucraino scatenando la guerra sanguinosa che va avanti da oltre tre anni. Un’immane tragedia che ha martoriato l’Ucraina. Le elezioni-farsa del 2024, macchiate da forti accuse di brogli, lo hanno confermato come ampiamente prevedibile al potere per il quinto mandato, il terzo consecutivo.
In questi 25 anni Vladimir Putin ha instaurato, progressivamente, un regime sempre più autoritario, dittatoriale, fondato sul culto del leader, dell’uomo forte al comando, sul controllo sempre più rigido dei mass media e sulla repressione di ogni forma di dissenso. Chi si oppone al potere di Putin viene incarcerato con qualche accusa costruita ad arte, ridotto al silenzio, spesso ucciso. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, definita da Putin “operazione militare speciale”, è vietato parlare di “guerra” e chi esprime il suo dissenso e denuncia i crimini commessi dalle forze di Mosca sul territorio ucraino rischia di essere perseguitato e arrestato. Attualmente, secondo la Ong Memorial, sono poco meno di 700 i prigionieri politici nelle carceri russe, ma potrebbero essere anche molti di più. Il caso più famoso di dissidente che ha pagato con la vita il coraggio di opporsi al regime è quello di Aleksej Navalny: l’attivista morto in una colonia penale artica dove stava scontando 19 anni di carcere. L’opposizione ritiene che il Cremilino sia direttamente responsabile della sua morte. E la sua battaglia oggi è portata avanti dalla moglie Yulia e dalla figlia Daria che hanno raccolto la sua eredità politica.
(Foto Ansa)