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I 175 anni della “Civiltà Cattolica”, la rivista che punta sul giornalismo “slow”



Padre Nuno da Silva Gonçalves.

 Diavolo d’un gesuita, verrebbe da dire. Mentre il mondo dell’informazione si danna l’anima per correre dietro alla velocità, lui tira il freno. Tutti sgomitano per arrivare primi, lui invece rallenta. E non per posa, ma per scelta meditata. Il mondo della comunicazione corre sempre di più nell’era dei social, dell’infotempo e dell’informazione istantanea e lui che fa? Anziché accelerare, porta la rivista che dirige, La Civiltà cattolica, la più antica d’Italia, con i suoi 175 anni compiuti proprio oggi, da una scadenza bisettimanale a una mensile. «Può sembrare paradossale, ma è un modo per riflettere con più calma sul flusso di notizie che ci attraversa quotidianamente, per ponderare con maggiore discernimento sugli argomenti di questo nostro tempo così complesso e tormentato» spiega padre Nuno da Silva Gonçalves, direttore della rivista dal primo ottobre 2023, portoghese, 66 anni, con un lungo curriculum di studi: laurea in Filosofia e Lettere, licenza in teologia, dottorato in Storia della Chiesa, esperienze di insegnamento in università portoghesi e alla Gregoriana, la prestigiosa università dei gesuiti, di cui è stato anche rettore. È il primo non italiano a dirigere la rivista fortemente voluta da Pio IX nel 1850 per difendere la dottrina cattolica e il magistero papale (come è noto le bozze vengono approvate dalla Santa Sede). In 175 anni  La Civiltà Cattolica è rimasta fedele al Papa, ai segni dei tempi e a una rigorosa riflessione culturale, mentre cambia pelle e diventa sempre più internazionale, con la convinzione che oggi – nell’epoca dei like, degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale – il vero atto rivoluzionario sia fermarsi a riflettere. E resistere alla tentazione di dire la propria prima ancora di aver capito. «Sono molto consapevole della responsabilità che comporta dirigere un periodico del genere», ci dice in una pausa dei suoi giorni frenetici, che comprendono i festeggiamenti a Palazzo Malta, alla presenza del presidente della repubblica Mattarella. «Ma si tratta di una responsabilità condivisa: la rivista è frutto del lavoro del Collegio degli scrittori, un’équipe di otto gesuiti che vivono insieme nella comunità. Tutto è fatto in modo collegiale, secondo lo spirito con cui la rivista è nata».

Quindi la vostra redazione si può dire che sia “permanente”?

«Sì, viviamo insieme, preghiamo insieme e lavoriamo insieme. Questo ci consente un confronto quotidiano sugli argomenti che trattiamo. La riunione formale si tiene una volta al mese, per valutare il numero appena pubblicato e pianificare i prossimi. Ma in realtà parliamo continuamente delle cose da trattare, un’idea può venirci mentre siamo in mensa, o in una pausa dei nostri studi, o incontrandoci durante le nostre incombenze comunitarie».

Come riuscite a mantenere l’identità gesuitica della rivista attraversando epoche tanto diverse, dai papi dell’Ottocento fino a Francesco?

«L’identità si fonda sul carisma ignaziano, che ha nella fedeltà al Papa uno dei suoi tratti distintivi. La rivista è nata per volontà di Pio IX nel 1850 proprio per accompagnare la vita della Chiesa e difendere le posizioni della Santa Sede. È stata, fin dall’inizio, uno strumento anche polemico, combattivo. Ma oggi i pontefici chiedono una fedeltà creativa, che non è mai semplice ripetizione: è anche capacità di analisi e stimolo».

Come riuscite a tenere insieme fedeltà e libertà intellettuale?

«Noi gesuiti abbiamo una libertà reale nella scelta degli argomenti, sempre alla luce del Vangelo e in sintonia con il magistero. Ogni scrittore ha le sue competenze. Poi certo, c’è un confronto costante. Direi che è un rapporto di fiducia e di stretta collaborazione con la Santa Sede».

La rivista è oggi pubblicata in sette lingue. Come funziona questa rete internazionale?

«Ogni edizione ha caratteristiche proprie. Alcune sono curate direttamente dai gesuiti del Paese, come l’edizione coreana o quella russa, che fa capo all’Istituto San Tommaso a Mosca. Altre, come l’edizione inglese (che ha sede a Bangkok), sono realizzate da editori esterni. Ma tutte traducono articoli usciti prima in italiano».

E in Russia non avete mai avuto problemi, considerando il clima di censura?

«Fino ad ora, no. I gesuiti che si occupano dell’edizione russa sono molto prudenti e attenti. Personalmente, non ho ricevuto segnalazioni di difficoltà».

Nella storia della rivista ci sono stati momenti di crisi?

«Sì. Dopo la Breccia di Porta Pia e l’occupazione di Roma nel 1870, la pubblicazione fu interrotta per qualche mese. Riprese solo a dicembre e per un periodo la redazione si spostò a Firenze».

In un’epoca di notizie istantanee, social e intelligenza artificiale, come cambia la missione di una rivista di pensiero come la vostra?

«Abbiamo deciso che da gennaio l’edizione cartacea sarebbe diventata mensile, ma con numeri più ricchi. Può sembrare un controsenso, ma in realtà questa “lentezza” è compensata da una maggiore presenza online. È un modo per rispondere alla frenesia con profondità. Lo chiamano giornalismo lento, giornalismo slow, e credo che Civiltà Cattolica lo abbia sempre fatto».

Usate strumenti di intelligenza artificiale?

«Finora, no. Non li abbiamo impiegati per scrivere. All’Università Gregoriana utilizziamo un programma che individua i plagi e segnala anche il sospetto uso di AI, ma non l’ho mai usato sugli articoli della rivista».

C’è una figura tra i direttori del passato che considera un modello?

Mi colpiscono molto i direttori che hanno guidato la rivista durante e dopo il Concilio Vaticano II. Penso a padre Roberto Tucci, che ebbe un rapporto stretto con Giovanni XXIII, e a padre Bartolomeo Sorge. E poi padre GianPaolo Salvini, che ha diretto Civiltà Cattolica per 25 anni. Molto apprezzato per lo stile collegiale».

Papa Francesco vi ha dato indicazioni specifiche?

«Sì. Quando ho assunto la direzione, l’ho incontrato per chiedere orientamenti. Ci ha detto: «Rimanete in mare aperto. Non abbiate paura delle onde». Ci ha invitati ad affrontare le tempeste del mondo, a essere coraggiosi. E a essere ponte tra la Chiesa e la società. Una volta ci disse che teneva sempre la rivista sulla sua scrivania, e per me è stato un riconoscimento importante. Ho accompagnato il Santo Padre in alcuni suoi viaggi e quando mi scorgeva, durante i voli faceva sempre una battuta: “Le pubblicazioni sono molto importanti”.Anche a Singapore, durante un incontro con i gesuiti locali, a proposito dell’attività apostolica, chiese: “avete una pubblicazione? Guardate che è molto importante”, e in quel momento ha guardato me, con un sorriso un po’ sornione».

Siete ancora una rivista scritta solo da gesuiti?

«Sì, ma da alcuni anni è possibile avere coautori laici. Abbiamo introdotto la forma dell’intervista e nella nuova sezione “Attualità culturale” accogliamo contributi esterni su cinema, teatro, mostre e libri».

Secondo lei, servirebbe un nuovo Concilio? O il Vaticano II ha ancora molto da dire?

«Sono convinto che il Vaticano II debba ancora essere assimilato appieno. I grandi Concili producono frutti nel lungo periodo. Non ne abbiamo ancora colto tutto il potenziale».

Papa Francesco ha mai scritto per Civiltà Cattolica?

«Abbiamo pubblicato tre suoi articoli scritti prima del pontificato, tra cui Interpretare la realtà e La dottrina della tribolazione. Ma il testo più importante resta l’intervista che padre Antonio Spadaro, allora direttore della Civiltà cattolica, gli fece nel 2013, all’inizio del pontificato».

La vostra è una rivista maschile. C’è spazio per un maggiore contributo femminile?

«Negli ultimi anni abbiamo pubblicato molte interviste a donne: suor Brambilla, la professoressa Marta Cartabia, la coordinatrice della rete Talitha Kum. È un modo per dare voce anche al mondo femminile, con cui vogliamo dialogare di più».

La Chiesa è accusata oggi di essere irrilevante nel dibattito culturale. Condivide?

«In Occidente i numeri non sono quelli di una volta, ma non è questo il punto. Ciò che conta è se il “piccolo gregge” riesce a essere luce del mondo e sale della terra. Il nostro compito è annunciare Gesù Cristo, l’unico Salvatore. E per questo serve coraggio e profondità».

 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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