La narrazione di sé che ha fornito lo scrittore Paolo Cognetti è una di quelle che non ti aspetti. Un uomo di grande successo racconta la sua malattia psichiatrica, come ne è stato travolto e come tuttora si senta fragile e vulnerabile: non capita tutti i giorni che i problemi di salute mentale si incarnino nella storia compiuta di una persona che ne riferisce i sintomi, la fatica nell’affrontarli, le cadute e il percorso in salita che si deve fare per imparare a tornare alla vita, capaci di non essere in balia delle montagne russe che la mente può accendere quando non ha equilibrio.
Cognetti non ha nascosto nulla: ha disvelato le sue cadute, raccontando le montagne russe della sua depressione bipolare, una malattia dove quando sei giù ti senti agli inferi e quando sei su sei talmente accelerato da fare cose che non avresti mai immaginato di fare in una condizione di normalità. Il suo racconto ha destato attenzione e toccato i lettori perché ad un certo punto del proprio “star male”, lo scrittore è stato obbligato a farsi curare, in quanto per lui è stato disposto un TSO, ovvero un trattamento sanitario obbligatorio. Accade a volte che tu sia talmente in pericolo o che il male che ti pervade metta in pericolo la vita di chi ti è accanto da dover far disporre l’obbligo alla cura. Quella cura che tu non sei in grado di scegliere e di volere per te. Ma di cui non puoi fare a meno, anche se tu non comprendi perché ti sia così necessaria. Si diventa in qualche modo “carcerati” di chi vuole il tuo bene. Si viene chiusi in un luogo dove chi progetta la tua risalita non ti lascia la libertà di essere chi vuoi essere e di fare ciò che vuoi fare. Il contenimento è ambientale (ti trovi costretto a permanere in un reparto di psichiatria), farmacologico (si spegne chimicamente tutto ciò che accende lo squilibrio del tuo funzionamento mentale), sociale (si limita l’accesso che gli altri possono avere a te e viceversa).
La malattia mentale è tuttora sottoposta ad un grande stigma. Sul piano culturale e sociale. Per questo la testimonianza che Cognetti ha voluto condividere in relazione alla sua malattia e alla sua vita è davvero importante. Aiuta a comprendere che ci sono problemi di salute difficile da riconoscere prima di tutto con se stessi. Aiuta a comprendere che in un mondo che ti obbliga al dovere di essere felice, il dolore e il disagio faticano a trovare il loro posto. Un posto necessario, di cui dobbiamo essere consapevoli. “Depressione e disagio psichico sono un fiume carsico in piena, negato e ignorato per accreditare l’idillio di una società felice. Siamo obbligati ad apparire sani, forti e colmi di gioia. Io però sono uno scrittore: per me è tempo di alzare il velo della colpa che nasconde il dolore. Voglio dire semplicemente la verità, a costo di essere sfrontato”. Queste sono le parole con cui Cognetti ha fornito la definizione di ciò che è in questo momento e del bisogno di farcelo sapere. E queste parole sono un vero dono, un’occasione di consapevolezza.
Sempre più spesso leggiamo nei media quanta sofferenza psichica attraversi la vita di noi esseri umani del terzo millennio. Troviamo articoli con dati di ricerca, interviste agli specialisti. Ma quasi mai troviamo le storie che si nascondono dietro quei numeri. L’intervista con cui Paolo Cognetti si è raccontato consente di dare un volto a quei numeri. Incarna nelle vicende di un essere umano un dolore che la società fatica a comprendere. Qualcosa di cui si parla in astratto e poco in concreto. Per questo dobbiamo essergliene grati. E augurargli che il coraggio con cui ha raccontato la sua malattia sia anche il coraggio con cui saprà attraversare il tempo e la fatica necessari a curarla.