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Giubileo, i militari “angeli” di speranza tra le sofferenze


La testimonianza di don Marco Falcone, cappellano militare dell’Accademia di Modena, che condivide la sua missione accanto alle giovani reclute nei campi addestrativi, tra la montagna e il mare di Lampedusa: qui oltre al dolore mi sono reso conto che l’essere umano è sempre pronto ad accogliere e aiutare

Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano

Una vocazione al fianco delle forze armate: gli “angeli” portatori di “gioia e speranza” in un mondo segnato da drammi e sofferenze. La pastorale di don Marco Falcone, cappellano militare dell’Accademia di Modena e futuro ufficiale dell’Esercito e dell’Arma dei Carabinieri, raccontata ai media vaticani, è tutt’altro che convenzionale. Presente a Roma per le celebrazioni del Giubileo delle Forze Armate, il suo compito è spesso stato quello di “consigliare, suggerire, camminare insieme” alle reclute, un cammino che lo ha portato a conoscere da vicino le sfumature della realtà militare.

La vita come una scalata in montagna

Dai canonici riti dell’alza e dell’ammainabandiera, fino al dialogo con i giovani che si preparano a diventare portatori di “speranza”. Tra le esperienze di don Falcone, ci sono anche quelle vissute nei campi addestrativi di montagna, dove il tema centrale dell’Anno Santo viene paragonato alla marcia verso le vette. “Tutti vorremmo vedere subito il panorama, arrivare in cima. Ma in montagna si va piano, lentamente. Non si corre”. Un valore che, per don Falcone, è strettamente legato alla vita di fede, fatta di momenti di fatica “un po’ come la salita in montagna”, ma che è ripagata, come un pellegrinaggio giubilare, dall’arrivo alla Porta Santa, simbolo di una bellezza che rinasce, proprio come un paesaggio montano.

La speranza di chi “non ha nulla”

Dalle alte quote, don Falcone è poi sceso fino al mare, navigando con le giovani reclute dell’Accademia Navale italiana. A bordo del cacciatorpediniere lanciamissili Francesco Mimbelli, ha vissuto la realtà dei soccorsi a largo di Lampedusa. “Lì ho visto qualcosa di speciale”, racconta, “oltre alla sofferenza, mi sono reso conto che l’essere umano è sempre pronto ad accogliere, ad aiutare”. Un esempio tangibile di questa convinzione si è manifestato durante il parto di una giovane migrante avvenuto proprio a bordo. “Quella è la speranza”, spiega don Falcone, ricordando il silenzio riverente che ha preceduto l’esplosione di gioia e applausi di “persone che non avevano nulla”, ma che, grazie a quella nascita inaspettata, hanno sperimentato la “speranza”: l’attesa positiva non di un qualcosa, ma di qualcuno. E per il cristiano, quel qualcuno è Gesù Cristo.



Dal sito Vatican News

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