«Segni concreti di speranza nel ministero diaconale» è il tema del ciclo di catechesi in diverse chiese di Roma, alcune in lingua straniere, altre in italiano. Si tratta del primo appuntamento del Giubileo dei Diaconi che si concluderà domenica. Il segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica sottolinea che il diaconato “è un ministero che nasce per l’evangelizzazione” e quindi è “segno di speranza”
Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano
Migliaia di diaconi sono giunti a Roma per il Giubileo a loro dedicato che si svolge a partire da oggi fino al 23 febbraio 2025. Il primo appuntamento di questo evento è rappresentato da una serie di catechesi in varie lingue, tenute in diverse parrocchie di Roma, sul tema «Segni concreti di speranza nel ministero diaconale». Monsignor Andrea Ripa, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e vescovo di Cerveteri, tiene la sua riflessione alla Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini.
Un servizio alla Parola, alla Chiesa e ai poveri
In un’intervista ai media vaticani, Monsignor Ripa ha spiegato come i diaconi permanenti, svolgendo il loro ministero a servizio della parola, dell’altare e dei poveri, e vivendo non solo in ambienti ecclesiastici, possano portare la speranza del Vangelo in modo particolare a coloro che sono lontani dalla Chiesa.
Come pensa che i diaconi permanenti possano essere un segno concreto di speranza nel mondo di oggi?
Il diaconato è un ministero molto antico, ce ne parlano già gli Atti degli Apostoli. È un ministero che nel corso della storia ha avuto momenti di grande diffusione, ma anche momenti di lunga eclisse. È stato ripreso con il Concilio Vaticano II, ed oggi lo stiamo vivendo e sviluppando. Penso che possa essere un segno di speranza perché è un ministero che nasce per l’evangelizzazione, quindi per l’annuncio e per la testimonianza. Non c’è nulla di più bello proprio del popolo Dio che porta un annuncio di speranza e per noi la speranza è Cristo. Penso che il ministero diaconale vada ad arricchire quello che è l’arsenale ministeriale della Chiesa. Non con un doppione o una sostituzione del ministero dei presbiteri, ma con un’aggiunta, che è quella di un ministero nuovo. Questo ministero corrisponde ad una vocazione, cioè quella dei diaconi, fatti per annunciare, fatti per il primo annuncio. Questo penso che sia il segno bello della speranza.
In che modo i diaconi permanenti possono essere una testimonianza e allo stesso tempo evangelizzare anche coloro che sono lontani dalla Chiesa?
I diaconi in questo senso hanno una bella responsabilità. Il diacono Filippo, dagli Atti degli Apostoli, ci ricorda che i diaconi nascono per annunciare il Vangelo a coloro che non lo conoscono. Teniamo presente che i diaconi permanenti, normalmente, hanno una famiglia, quindi hanno un lavoro e frequentano ambienti che non sono solo quelli ecclesiali. È proprio nei loro ambienti di vita e di lavoro che possono fare quello che il diacono Filippo ha fatto con l’eunuco della regina Candace: annunciare il Vangelo ascoltando le sue domande e, attraverso le sue domande, arrivare a Cristo. Quindi c’è una testimonianza che passa attraverso il primo annuncio, che è una testimonianza nella propria vita famigliare, perché sono padri e mariti. Le persone che hanno intorno non necessariamente sono cristiane, quindi è proprio con la loro vita, prima ancora che con quello che fanno, che possono dare una testimonianza per chi è lontano, possono dare un annuncio di fede. Noi speriamo perché crediamo in Cristo e quindi i diaconi si fanno portatori di questa nostra speranza, cioè dell’annuncio della persona viva e risorta di Cristo.
Come la Chiesa può rendere più noto nel mondo il ministero che svolgono i diaconi permanenti?
Da un certo punto di vista credo che ci sia una responsabilità che dipende dai diaconi stessi. In fondo in diverse zone del mondo, come l’Italia ad esempio, il diaconato è una realtà già abbastanza presente da tempo, quindi la testimonianza personale e famigliare, e il servizio ecclesiale del singolo diacono, sicuramente possono essere una via perché il diaconato sia conosciuto. Dal punto di vista della Chiesa penso che sia sempre necessario avere chiarezza sull’identità del ministero diaconale, essere ad esempio precisa anche nell’assegnare incarichi che non siano generici ma che facciano vedere che il diacono è un chierico al servizio di una Chiesa locale. Questo credo che possa servire anche nella formazione, nell’affidare un ministero, far capire quanto è utile e prezioso il ministero diaconale. Nel 2017 nella sua visita a Milano, Papa Francesco aveva detto che il diacono, in sintesi, è il custode del servizio nella Chiesa, un servizio che è servizio alla parola, servizio all’altare, e servizio ai poveri. Quello che la Chiesa può fare è aiutare i diaconi a ricevere una formazione che abbia a cuore il servizio e ad affidare ministeri collegati a qualche forma di servizio: parola, altare e poveri.