Le storie di Enza, novantaduenne giunta da Melbourne, e di Imelda e Gabriel, che dopo la luna di miele nel 2000, tornano a varcare la Porta Santa dopo 25 anni. Ma anche quella di Seth Sabata, sacerdote legionario di Cristo, che ritrova due padri di famiglia conosciuti anni prima su un campetto da basket alla periferia di Manila, ora accompagnati dalle loro famiglie per vivere insieme una tappa speciale del cammino spirituale
Lorena Leonardi ed Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Una partita di basket, una crociera, un viaggio intrapreso dall’altra parte del mondo per tornare nella terra lasciata tanti anni prima, e che ancora chiama. Le motivazioni che spingono i pellegrini ad attraversare la Porta Santa della basilica di San Pietro, nell’Anno giubilare in corso, sono tra le più diverse. E ciascuna è unica nel suo genere.
Ritrovarsi per il Giubileo
Su un campetto della periferia di Manila, nelle Filippine, tra un tiro a canestro e l’altro, Seth Sabata, sacerdote dei Legionari di Cristo, ha conosciuto due padri di famiglia, con cui è rimasto in contatto dopo il trasferimento in Italia. Oggi li ritrova a Roma, insieme alle rispettive famiglie, per vivere una tappa speciale della loro vita spirituale. “Condividere un’esperienza così intensa è una bellissima opportunità”, confida ai media vaticani. Intorno a lui, tre bambini si passano la Croce giubilare come fosse un tesoro: la osservano, la soppesano, si preparano al cammino che, da via della Conciliazione, li porterà fino alle soglie del cuore della cristianità.
Una preghiera per i giovani
“Siamo in tanti a venire dalle Filippine”, racconta una pellegrina al suo fianco. Ed è vero: i gruppi dal Paese asiatico sono numerosi. A volte piccoli, otto persone appena; altre formati solo da una coppia, come Imelda e Gabriel, emigrati da tempo negli Stati Uniti, in Massachusetts. Per la coppia è il secondo pellegrinaggio. Il primo, nel 2000, fu un evento inatteso. “Eravamo in crociera per la luna di miele. A Roma, scoprimmo per caso il Grande giubileo. Attraversammo la Porta Santa e fu un’emozione potente. Da allora ci siamo detti: torneremo. Ed eccoci qui, venticinque anni dopo”. La loro preghiera è per gli altri, soprattutto per i giovani. “Speriamo che riscoprano la fede. Negli Stati Uniti, è una sfida sempre più urgente”.
Da una “vita diversa” al ritorno a Roma
Tornare è anche un modo per ritrovare ciò che si è lasciato lungo la strada. Come nel caso di Vincenza, oggi arzilla novantaduenne, per tutti “Enza”, partita dal Salento nel 1957 in cerca di “una vita diversa”. La meta iniziale era l’America, dove l’attendeva uno zio. Ma il destino la spinse ancora più lontano, fino a Melbourne. In Australia ha costruito una nuova vita: tre figli, due nipoti, tre pronipoti. Eppure, le radici non smettono mai di chiamare. Alla sua bella età, con lo spirito ancora intatto, la signora Enza segue ogni giorno la Messa in italiano grazie ai media vaticani. E nonostante il tempo e la distanza, ha trovato la forza di salire su un aereo per tornare nella sua Italia, dopo 35 anni. “Mancavo dal 1990. Ma lo desideravo da tanto”, dice con un sorriso. Con lei, uno dei figli, Giancarlo, e la nuora Rosanna.
I desideri di una madre per il proprio figlio
C’è chi accompagna una madre, e chi invece prega per i propri figli. È il caso di Rosa, da Rossano, in Calabria, che ha lasciato per qualche giorno i suoi impegni in parrocchia per raggiungere il figlio a Roma e attraversare le quattro Porte Sante della città. È il suo terzo Giubileo: dal primo, nel 1975 — indetto da san Paolo VI — vissuto con la nonna e la zia suora, fino ad oggi, cinquant’anni dopo. “Sono contenta della mia vita”, dice con una serenità profonda. Il suo unico desiderio rimasto? Incontrare Papa Francesco, dopo aver stretto la mano ai Papi santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Le intenzioni degli ammalati
Accanto a storie personali, si intrecciano quelle collettive. Come quella delle otto infermiere arrivate da Nola per portare a Roma non solo le loro preghiere, ma anche quelle dei pazienti che assistono. “Veniamo per rinvigorire lo spirito”, dicono, con la semplicità forte di chi ogni giorno si prende cura degli altri.
Fede e gioia dalla Germania
Roma, ancora una volta, si fa palcoscenico di speranza. “In questi tempi così difficili, cerchiamo un rinforzo nella fede e nella gioia”, racconta padre Volkia, che guida un gruppo di quaranta pellegrini dalla diocesi di Trier, nella Germania occidentale. “Treviri, come la fontana”, traduce scherzando in un italiano che sorprende.
Le emozioni dei bambini
In questo scenario si inserisce anche la gioia contagiosa dei bambini. Una classe di quinta elementare in arrivo dal Lago di Garda cammina verso la basilica Vaticana, guidata dal maestro Nicola Baroni. Beatrice, 10 anni, dice di sentirsi “più leggera e felice”. Mentre Rahel, 11 anni, alunna della Pontificia Scuola Pio IX — una delle più antiche dell’Urbe — si tocca la lunga treccia, un po’ emozionata, e sussurra cosa sia per lei la speranza: “Qualcosa che ci protegge e ci sta accanto”. Parole che colpiscono, emozioni che fratel Andrea Bonfanti, loro insegnante, riconosce nei volti e nei silenzi dei suoi studenti, dai più piccoli ai più grandi. “Oggi abbiamo portato circa 75 ragazzi delle medie. Vengono da tanti Paesi diversi. Alcuni sono figli di chi lavora per il Dicastero per la Comunicazione”, spiega. Ma la sua soddisfazione più grande è stata leggere le parole scritte dai liceali, quelli da cui, “in tutta sincerità”, ci si aspettava meno. “E invece hanno vissuto la preghiera con concentrazione e profondità. Un momento raro. E per questo, indimenticabile”.