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Giovanni Storti sulle Alpi Apuane


Cosa ci fa Giovanni Storti, volto amatissimo della comicità italiana, sulle Alpi Apuane, appeso alla ferrata più antica d’Italia? La risposta arriva da un documentario prodotto da Cineblend in collaborazione con il Club Alpino Italiano, presentato al Trento Film Festival il 28 aprile: si intitola Tra Natura e Quota ed è un viaggio – reale e simbolico – tra rocce, piante, vento e pensieri.



Un viaggio lungo tre giorni, guidato da botanici, guide alpine e appassionati del CAI, per scoprire un territorio selvaggio e fragile, antico e minacciato, immerso in quella che Giovanni definisce «la ricchezza di vita sul nostro pianeta». È la biodiversità il primo filo rosso del film, insieme al tema della sicurezza in montagna, raccontato con il tocco ironico che è la cifra inconfondibile dell’attore ma anche con la serietà che l’argomento richiede.

«I registi, il CAI probabilmente, hanno scelto le Alpi Apuane. Io non le conoscevo e quindi ero ben contento di vedere com’era questo territorio, tra il selvaggio e il lavorato. È una montagna molto diversa dalle Alpi: più morbida in apparenza, ma non meno pericolosa. Anzi, il fatto che non sia altissima può trarre in inganno chi la sottovaluta».

Accanto a lui, in questa camminata speciale, Alessio Piccioli del CAI, la guida forestale Andrea Ribolini e la biologa Elena Alberti, la guida alpina Gionata Landi, l’esperto ambientale Alberto Grossi e la presidente CAI di Forte dei Marmi Veronica Pierotti. Ciascuno con uno sguardo unico e autentico su un territorio che non è solo panorama, ma memoria, lavoro, conflitto.

«Mi ha colpito quanto questi luoghi siano stati vissuti, modificati, scavati. Eppure ancora vivi. Il contrasto tra la natura e l’attività umana è fortissimo. Vedi il marmo cavato, il rumore delle macchine, la polvere. Poi fai un passo e sei in un bosco silenzioso, con orchidee selvatiche e animali che nemmeno immaginavi potessero esistere lì. È come se la montagna ti chiedesse continuamente: “Che intenzioni hai con me”»?



Il documentario si muove tra momenti di leggerezza e riflessione. Giovanni scherza, certo, ma non sdrammatizza. Anzi. L’ironia è uno strumento per restituire complessità. «La comicità serve anche a far passare messaggi pesanti in modo leggero. Non per svuotarli, ma per renderli accessibili. Se dico con serietà che ci sono 3000 piante autoctone e 800 sono a rischio, uno magari sbadiglia. Ma se lo racconto in una camminata, ridendo e osservando una pianta rara che spunta da una roccia, magari uno se lo ricorda. E se lo ricorda, cambia».

Tra cave che inquinano i fiumi e sentieri che insegnano lentezza, c’è spazio anche per la filosofia: «La montagna va vissuta lentamente, va vissuta con fatica. Se la snaturi, per esempio se vieni trasportato in elicottero o con una funivia fino in cima, che cosa ti godi davvero? Ti godi la vista? Allora vai su un grattacielo. Per me la montagna, come il mare, è un’esperienza da fare nel rispetto dei suoi tempi e dei suoi limiti».



La lentezza per Giovanni è una forma di resistenza, una scelta ecologica e personale: «La lentezza ti costringe a stare. Non puoi scappare da te stesso se sali un sentiero di sassi e sudore. E se sei con qualcuno, devi parlargli davvero. Anche questo è un modo di essere ecologici: non solo con l’ambiente, ma con le relazioni. Ci si ascolta di più, si guarda, si respira insieme».

E sul tema della sicurezza, ci tiene a insistere: «Spesso in montagna si vedono persone impreparate. Salgono in sandali, si avventurano senza acqua o senza sapere dove stanno andando. La montagna non perdona. Non è cattiva, ma va rispettata. Come una grande maestra severa, che però ti regala tantissimo se la ascolti».

Quando gli si chiede se questa esperienza lo ha cambiato, risponde senza esitazione: «Ogni volta che esco dalla mia zona di comfort, torno con un pezzo in più. Stavolta ho portato a casa l’idea che i luoghi non sono solo spazi fisici, ma relazioni. Con chi ci abita, con chi li ama, con chi li distrugge. E noi siamo parte di questa rete, non possiamo far finta di niente».

Infine, il messaggio per chi guarderà Tra Natura e Quota: «Spero che chi vedrà il film porti a casa un paio di cose: che ogni ambiente va approcciato senza snaturarlo. Che la montagna si vive a piedi, con fatica, e con mezzi adeguati. Che non si può pretendere sempre le stesse condizioni, lo stesso clima, la stessa comodità. E che in fondo anche una gita della domenica può diventare un’occasione per imparare qualcosa. Basta farla con lo spirito giusto. E magari con una risata ogni tanto».





Dal sito Famiglia Cristiana

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