Uno studio presentato dall’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, evidenzia che la discriminazione è “triplice” quando colpisce straniere e disabili. La testimonianza di Elena, penalizzata in quanto donna, straniera e disabile
Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
Elena è una signora moldava piena di coraggio e che non si lascia spaventare dalle avversità della vita, eppure la sua storia può essere considerata emblematica delle criticità che riguardano il lato femminile del mondo del lavoro in Italia.
Le discriminazioni che umiliano le donne
Che una forte disparità esista tra donne e uomini in ambito lavorativo è ampiamente accertato da tempo e certificato dall’Istat: più di dieci punti percentuali di differenza in numeri assoluti tra gli occupati, un tasso di occupazione che riguarda per quasi il 71% i maschi mentre scende al 53% tra le femmine, una forbice retributiva (a parità di mansioni) che registra un -30% per le donne, e così via. Quello che rende il fenomeno della disparità ancora più intollerabile è la discriminazione che si rileva anche nel campo delle fragilità sociali. Se le donne sono – è ampiamente provato – svantaggiate nel lavoro, lo sono anche nell’ambito delle tutele per gli infortuni o le malattie professionali, con un divario importante negli indennizzi che vengono corrisposti ai lavoratori disabili dagli enti preposti. La denuncia arriva dall’Anmil – l’Associazione nazionale dei mutilati e degli invalidi del lavoro – che in una conferenza stampa svoltasi ieri, 7 marzo, presso la Camera dei Deputati ha reso noti i risultati di uno studio su “Le discriminazioni che umiliano il ruolo della donna nella società italiana”.
Ricadute sulle famiglie
Le umiliazioni di cui parla Anmil sono meno evidenti e ben più subdole di quelle che sono sotto gli occhi di tutti ormai. Per tornare alla signora Elena (che chiede che non venga diffuso il suo nome per intero) l’ultima mortificazione riguarda l’impossibilità di accedere ad un affitto regolare. “Quando i proprietari di una casa vedono che sono titolare di una pensione di invalidità, nonostante io sia in grado con mio marito di onorare i termini di un affitto, non vogliono perfezionare il contratto. – spiega Elena – . Questo perché pretendono una busta paga e non riconoscono il mio vitalizio come un reddito che dia sufficienti garanzie”. Risultato: la signora Elena, suo marito e il figlio di 3 anni rischiano di ritrovarsi a breve in mezzo a una strada.
Una storia emblematica
La signora Elena si ricorda bene cosa significhi la sicurezza di un lavoro in regola e non ha avuto problemi a trovalo una volta arrivata in Italia. Fino all’incidente che l’ha resa invalida al 52%. “In seguito a delle gravissime ustioni su oltre la metà del corpo – racconta – ho dovuto affrontare oltre due mesi di terapia intensiva in cui ho rischiato di morire. Poi per altri due anni è stato un succedersi di operazioni, terapie mediche e psicologiche. Se non avessi avuto il sostegno di mia madre e del mio compagno non avrei saputo come mantenermi”. Con i datori di lavoro dell’epoca i rapporti si sono estinti quasi subito dopo l’incidente e la trafila per il riconoscimento dell’invalidità è stata lunga e difficile. “Grazie all’assistenza fornita dal Caf ho potuto fare ricorso per ottenere una nuova valutazione dell’invalidità, che inizialmente era molto bassa”.
Madre, straniera, disabile
Negli ultimi dieci anni, Elena è riuscita a trovare solo lavori discontinui e a ore come donna delle pulizie. Impossibile tornare a fare la badante come prima dell’incidente, le sue condizioni fisiche non lo permettono e, in più, da tre anni è mamma di un bellissimo bambino. “E’ lui a farmi stare bene”, dice senza amarezza. Eppure anche la condizione di madre diventa in Italia un elemento di discriminazione nel mercato del lavoro italiano e questo vale per qualsiasi donna. Ma per le donne come Elena la discriminazione – quello che oggi viene indicato come gender gap – è triplice: donna, straniera e disabile.
Una realtà da cambiare
“Servirebbe guardare con più attenzione al mondo delle donne”, risponde con poca convinzione Elena parlando delle sue speranze per il futuro e del senso della ricorrenza dell’8 marzo. “Il mondo del lavoro oggi è praticamente inaccessibile per chi deve conciliare la cura di una famiglia, magari con bambini e anziani a carico.” Ma è quando le viene posta la domanda su quali ritiene siano i motivi di questa scarsa attenzione, che la sua risposta diventa lapidaria e definitiva: “Perché è sempre stato così”.