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Gino Cecchettin: «Cara figlia, da te ho imparato il dialogo»


Misura le parole, Gino Cecchettin. Le pensa e le pesa, lo si capisce da come escono, mai concitate, a volte sgranate. Servono a tenere a bada l’incommensurabile: il dolore di un padre che ha perso una figlia in un delitto che sfugge alle categorie razionali. Lo sforzo, sovrumano, non si vede. Si respira, nello stacco tra le parole. Due tragedie a distanza di poco.

Che cosa ha imparato della paternità?
«Quando è mancata mia moglie Monica ho capito che noi padri siamo insufficienti: lei, mamma grandiosa, nel colloquio con i figli toccava corde speciali, io ho dovuto imparare. Giulia più di tutti mi ha fatto capire l’importanza del dialogo costante. Dopo quasi un anno, appena ritrovato un po’ il sorriso in famiglia, siamo stati ritravolti: pensavo fosse difficile attraversare la perdita di una moglie, ma quanto vissuto con Giulia è di un ordine di grandezza maggiore, ha squassato le nostre anime».

Teme possa complicarle il rapporto con gli altri due figli?
«Con Elena e Davide mi confronto su ogni progetto. Mi hanno incoraggiato anche a costo di sacrificare qualche ora tra noi. Elena dopo aver letto il libro mi ha scritto: “Sono fiera di un papà come te”».

Dove ha imparato questo modo eroicamente pacato?
«La vicenda di Giulia va oltre la comprensione umana: una cosa così non si governa con i sentimenti, ci vuole razionalità. Ho capito subito che se mi fossi concentrato sulla rabbia invece che su quello che di positivo potevo fare, sull’amore per mia figlia e sul bene che lei ci ha lasciato, sarei uscito pazzo».

Ha detto “il cambiamento deve partire dagli uomini” dicendo noi.
«Anch’io sono cresciuto a Rambo e Commando, film su “maschi alfa” per cui parteggiavamo perché usavano la violenza contro i cattivi. Ma va bene finché chi vi si identifica è equilibrato, se non lo è magari quella violenza la usa davvero».

Si abusa della parola “perdono”?
«Si può perdonare una marachella, un tradimento, qualcosa che ti consente di andare avanti, con un omicidio è difficile. Sono umano, non so se mai ci arriverò».

Ha detto “non so pregare, ma so sperare”. Che rapporto ha con la fede?
«Sono stato sposato per 24 anni con una persona credente e praticante. È questione di un minimo di raziocinio e di rispetto: ti amo e non ho preclusioni riguardo alla tua fede, può essere un problema se ti guida un principio che invita ad amare il prossimo? L’importante è che ci sia reciprocità, che non ci sia una proposta di conversione perché quella deve venire da dentro. La telefonata del Papa è arrivata mediata dal cardinale Zuppi che mi è stato vicino fin da subito. Ho chiesto consiglio a lui quando mi è stato proposto di scrivere il libro, mi ha detto “Accetta, ti aiuterà a tirar fuori quello che c’è in te”. La telefonata mi è arrivata dal telefonino del Cardinale. Un’emozione. Non capita tutti i giorni di essere chiamati dal Santo Padre».

 



Che cosa vorrebbe dire agli altri padri?
«Mi pesa non ricordare nulla di preciso dell’ultimo giorno trascorso con Giulia: vorrei dir loro di porre attenzione a ogni singolo momento che trascorrono con i figli, di dar loro più tempo possibile, non facendo i maestri di vita, ma ascoltandoli per capire quello che provano».

Da dove arriva il suo pensiero di vicinanza al padre di Turetta?
«Dalla razionalità che è la prima che entra in campo, poi lascio spazio ai sentimenti. L’ho conosciuto soprattutto nelle ore in cui si cercavano la macchina, i ragazzi: ho visto genitori in preda alla paura. Anche loro hanno perso un figlio. Sono perdite diverse, ma questo ci accomuna: siamo purtroppo protagonisti di una triste storia. Io non sono nessuno per criticare l’operato di altri genitori. L’unica cosa che posso fare è comprenderli».

Le hanno rimproverato la razionalità. Che cosa le lascia quell’ondata negativa?
«C’è un vecchio detto: prima di giudicarmi dovresti fare un po’ di passi con le mie scarpe. Un’intervista dura mezz’ora, nessuno sa che cosa succede nella mia casa. Si scambia l’equilibrio per indifferenza, c’è chi ha detto che abbiamo voluto noi l’omicidio per lucrare, mi chiedo come si possa pensare una cosa simile. Se mi lasciassi ferire darei loro un’importanza che non meritano, l’ho imparato da un collega che, vessato sul lavoro, reagiva con il sorriso».

Nel libro Cara Giulia scrive che la famiglia è un’unione superiore. Che cosa vuol dire?
«Lo dicevo a mia moglie a proposito dell’amore: se da soli valiamo cento quando siamo in tre, insieme non facciamo 300, ma facciamo 1000, perché nella famiglia si moltiplicano tutte le cose, soprattutto quelle positive. È un’unione superiore nel senso che, compatti, si riesce a superare anche cose che da singoli sono inaffrontabili».

Il femminicidio è un dramma che continua. Che cosa succede alla vostra famiglia ogni volta che ricapita?
«Ad ogni femminicidio corrisponde un link diretto alla nostra storia, che però è così fresca che a noi non serve che riaccada per ricordarla, la stiamo ancora vivendo. È risuccesso non lontano da Vigonovo, (Venezia, ndr), dove abitiamo: penso a che cosa posso fare per quei genitori. Sono ancora dentro l’elaborazione di quello che mi è successo e sono convinto che il peggio deve ancora arrivare. Con mia moglie la giornata peggiore è arrivata a mesi di distanza dalla sua morte. C’è ancora molto da fare. Chi compie femminicidi è già nello stato di poterli compiere, non è educato al punto che di fronte alla rabbia si placa e si ferma: ci sono in giro bombe innescate che possono scoppiare. Come società dovremmo capire dove sono e disinnescarle e, intanto, agire sulle nuove generazioni».

Nel libro, Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia, scritto con Marco Franzoso per Rizzoli, Gino Cecchettin racconta sua figlia Giulia. Un libro tenero, delicato, di grande umanità, in cui si respira il valore del dialogo in una famiglia che si è trovata in cronaca proprio malgrado. E che affronta un doppio grande dolore con enorme dignità, senza perdere di vista gli altri. I proventi netti di Cecchettin derivanti  dai diritti d’autore del libro sosterranno “Fondazione Giulia” e aiuteranno le associazioni del territorio che si occupano di violenza di genere.





Dal sito Famiglia Cristiana

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