La difficile quotidianità di Gaza e la testimonianza in vista della Pasqua di padre Gabriel Romanelli, parroco della Chiesa della Sacra Famiglia. “La situazione sta diventando sempre più difficile perché le barriere e le frontiere sono completamente chiuse da quasi un mese”, afferma ai media vaticani. Ma tiene aperta la porta alla speranza: “Dobbiamo convincere il mondo che la pace è possibile”
Marine Henriot – Città del Vaticano
La devastazione è imperante a Gaza, ma la parrocchia della Sacra Famiglia resiste. Attualmente ospita più di 500 persone, tra cui rifugiati, feriti, bambini e disabili, nella casa delle suore di Madre Teresa. Tra i parrocchiani, padre Gabriele Romanelli, sacerdote di Gaza, cerca di mantenere una routine quotidiana scandita dalle preghiere. Ogni giorno diventa più difficile, racconta, ma la Pasqua simboleggia il passaggio dalla morte alla vita, quindi la speranza resta possibile.
L’aiuto della Chiesa cattolica
«Nella nostra parrocchia ospitiamo circa 500 rifugiati, tra cui bambini e disabili che sono accuditi dalle suore di Madre Teresa; ci sono anche anziani, feriti e malati», afferma padre Romanelli intervistato dai media vaticani. «Grazie all’aiuto della Chiesa cattolica, in particolare del patriarca di Gerusalemme dei Latini, siamo riusciti a sostenere migliaia di famiglie, civili, in tutti i quartieri più poveri della Striscia di Gaza. Il nostro quartiere si chiama Zaytun, è il quartiere più antico e molto popolare».
A Zaytun la piccola comunità cristiana prova a trovare una normalità, possibile «grazie alla nostra fede». «Fin dal mattino preghiamo in silenzio, poi c’è l’adorazione del Santissimo Sacramento e dopo mezzogiorno, durante questa Settimana Santa, facciamo quello che fanno i cristiani d’Oriente, in particolare — spiega Romanelli — i canti delle lamentazioni di Geremia. Dopo la messa, ci sarà il rosario alla Madonna della Pace, seguito da attività comuni per i vari gruppi parrocchiali. Oltre a questo, cerchiamo anche di aiutare i nostri vicini, con le cliniche Caritas e il Patriarcato Latino, con la distribuzione di medicinali, acqua e cibo. Ogni giorno diventa più difficile, anche se per ora abbiamo ancora abbastanza da mangiare. Ma la situazione sta diventando sempre più difficile perché le barriere e le frontiere sono completamente chiuse da quasi un mese».
La vita oltre la paura e le bombe
Nonostante i bombardamenti, come quelli che hanno colpito la parrocchia anche della Sacra Famiglia alla fine del 2023, padre Romanelli afferma di non aver paura in quanto «affidiamo la nostra vita nelle mani del Signore. Quando iniziò la guerra — ricorda — vennero emessi ordini di evacuazione per tutti i quartieri di Gaza City. E i cristiani presero subito la decisione di venire qui. Perché per loro non esiste un altro posto sicuro in cui vivere in tutta la Striscia di Gaza. Dissero che volevano “andare da Gesù”. Perché qui si sentono al sicuro, nonostante la chiesa sia stata bombardata più volte nel dicembre 2023». Già prima di Natale 2023, alcune donne cattoliche sono state uccise qui dai cecchini. «Nella Striscia di Gaza — sottolinea — tutti provano paura quotidianamente. Migliaia di bambini innocenti vengono uccisi e continuano a essere vittime di questa guerra. Che si tratti di un bambino in un kibbutz o di un bambino a Gaza, a morire sono sempre i civili. Ecco cosa ci spaventa un pò. Poiché questa guerra provoca molte vittime, una grande percentuale di loro sono bambini».
Padre Gabriel si sofferma poi sulla speranza resa possibile dalla fede, ancor più in questi giorni in cui si celebra il mistero della morte e della risurrezione del Signore. «Per chi si trova in Medio Oriente non c’è dubbio che è la fede, questa presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, nella Chiesa, nelle opere di carità, che ci dà la forza di continuare a vivere, di dare speranza, anche in questi giorni inimmaginabili che ci attendono».
Le incognite del futuro
Secondo padre Romanelli, «la difficoltà principale è sapere cosa accadrà nei prossimi giorni». Questo è ciò che preoccupa tutti. Ma la speranza rimane, nonostante non ci siano ancora risposte per gli oltre 2 milioni di persone che vivono a Gaza. I problemi sono impellenti nella quotidianità: l’accesso all’acqua, il funzionamento dei forni, per cui «è molto complicato per il cibo, per fare il pane con la farina. Ciò è essenziale per le decine di migliaia di famiglie che, per la maggior parte, vivono fuori casa, poiché le case non esistono più. Vivono per strada, nelle tende. La maggior parte delle scuole e degli ospedali — prosegue padre Gabriel — sono stati bombardati e distrutti». Un giorno di guerra, un’ora di guerra, un minuto di guerra provocano sempre più danni, distruzione e morti. Dobbiamo convincere il mondo che la pace è possibile. E se la pace non è possibile immediatamente, dobbiamo almeno fermare tutto questo».
Come scritto l’anno scorso nel suo messaggio di Pasqua, Romanelli ribadisce che a Gaza «siamo di nuovo sul Calvario. È vero che ci sono voci che dicono che raggiungeremo una tregua, e noi lo speriamo davvero. Ci auguriamo che durante questa Settimana Santa, in cui tutte le comunità cristiane, anche quella ebraica, celebrano la Pasqua, la morte e la risurrezione del Signore ci donino la grazia della conversione e della risurrezione spirituale. Che la risurrezione di Cristo ci dia l’opportunità non solo di essere sul Calvario, ma anche di essere davanti alla sua tomba. E l’idea, ma non sarà facile dopo la guerra e finché la guerra proseguirà, è di continuare a chiedere a Dio che è misericordia, perdono e pace. Desideriamo veramente nei nostri cuori la pace per tutti e in particolar modo per la Palestina e Israele. Preghiamo tutti per questo».
La pace e la riconciliazione sono possibili
Il parroco della Chiesa di Gaza sottolinea infine il ruolo della preghiera come «grande forza motrice, la nostra grande forza spirituale: seminare speranza contro ogni speranza». E allora, «anche se abbiamo voglia di piangere, cerchiamo prima di metterci all’opera e san Giovanni d’Avila, un grande santo spagnolo, parlando della paternità spirituale — che si può applicare anche alla maternità spirituale delle suore — diceva che il sacerdote deve avere un cuore capace di sopportare la sofferenza, di fronte alla morte dei figli, ma anche un cuore di carne tenera per essere vicino a tutti. Allora a volte abbiamo voglia di piangere, di non fare nulla, ma dobbiamo metterci al servizio degli altri. E il Signore ci riempie sempre spiritualmente. Ogni volta che facciamo del bene, ci riempie di speranza, anche in questi giorni bui che stiamo vivendo qui a Gaza».
Il mondo intero prega per la pace, anche per gli aiuti materiali. «Allo stesso tempo — conclude padre Romanelli — vorremmo dire che anche tra coloro che hanno la responsabilità delle nazioni ci sono molti cattolici che lavorano anche per la pace. Che non si arrendano di fronte ai discorsi di odio o di disprezzo per gli altri o per le armi. La pace è possibile. E non è solo uno slogan. La pace è davvero possibile, la giustizia è possibile, la riconciliazione è possibile. Dobbiamo continuare a collaborare con tutti coloro che ricoprono posizioni di responsabilità, lavorare e pregare affinché la pace arrivi».