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Gaza, nutrire le persone attraverso il cibo e l’inclusione


Venti giovani cuochi con disabilità uditive ogni giorno a Deir al Balah, nel centro della Striscia di Gaza, preparano e consegnano pasti caldi a 250 famiglie sfollate, circa 1.750 persone, grazie all’Inclusive community kitchen, il progetto di cucina comunitaria sostenuto da Cbm Italia insieme alla ong palestinese Atfaluna Society for Deaf Children

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Essere in prima linea come protagonisti della risposta all’interno della propria comunità, in un contesto di guerra in cui, secondo l’Onu, oltre l’80% della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti e quando l’ingresso dei sostegni umanitari è di fatto ancora bloccato da Israele. È l’obiettivo, raggiunto, dei 20 giovani cuochi con disabilità uditive che ogni giorno a Deir al Balah, nel centro della Striscia di Gaza, preparano e consegnano pasti caldi a 250 famiglie sfollate, circa 1.750 persone, grazie all’Inclusive community kitchen, il progetto di cucina comunitaria sostenuto da Cbm Italia insieme alla ong palestinese Atfaluna Society for Deaf Children. A parlarne, in una conversazione con i media vaticani, è Eleonora Giordano, direttrice dei programmi internazionali di Cbm Italia, organizzazione internazionale impegnata per la salute, l’educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità.

Formazione, lavoro, impegno

Nell’ambito dell’iniziativa, «sono state formate persone, con disabilità e senza, per creare una posizione, una professione nel settore della ristorazione. Con la crisi in corso e la necessità di fornire pasti alla popolazione sfollata — spiega Giordano — si è pensato di puntare a una cucina comunitaria, potendo offrire un lavoro alle persone che avevano già realizzato un corso di formazione: sono tutte diplomate nell’ambito della ristorazione». Si tratta di uomini e donne, non soltanto cuochi, ma anche assistenti di cucina, operatori comunitari, addetti alle pulizie, gestori degli acquisti e dell’approvvigionamento dei materiali. Tutte persone «che, senza lavoro a causa della crisi, attraverso l’opportunità di questo progetto hanno l’occasione di avere un’occupazione: vengono retribuite in una forma di cash for work. Al contempo hanno la possibilità di avere un pasto quotidiano e soprattutto, non da meno, essere utili e visibili alla comunità in un momento così critico».


Le operatrici dell’Inclusive community kitchen

Per avviare le attività a giugno 2024, «è stata realizzata una cucina comunitaria, con tutto l’equipaggiamento necessario, quindi è stato allestito un magazzino per poter conservare il cibo e tutti i beni legati alla produzione dei pasti, poi è stata approntata un’area di attesa per evitare congestionamenti o confusione al momento della distribuzione». Ogni pasto può essere composto da legumi, verdure, riso, carne se c’è, in base alla disponibilità sul terreno, a causa delle operazioni belliche. «Sono pasti da un kg e mezzo, quasi due kg, proprio perché sono destinati a nuclei familiari: consideriamo — prosegue la rappresentante di Cbm Italia — una media di sette membri a nucleo familiare, che include persone con disabilità e loro congiunti. Ogni nucleo familiare identificato all’inizio del progetto — precisa — ha una card, con cui si presenta in un orario definito presso la community kitchen per ricevere il pasto».

Risposta umanitaria e inclusione sociale

In un approccio che vuole combinare la risposta umanitaria e l’azione all’inclusione sociale, le due organizzazioni puntano sulla «potenza trasformativa» del progetto: quello dei 20 giovani, prosegue Giordano, «è un impatto tangibile» sulla comunità ed «è una sfida agli stereotipi, che possono essere tanto radicati nei confronti delle persone con disabilità. Sono loro che ci raccontano come riescono a trovare e a ritrovare uno scopo, ad acquisire e riacquisire dignità e autostima. Una cosa che mi ha molto colpito — confida — è proprio il tema del “siamo noi quelli che prepariamo e distribuiamo pasti e nutriamo le famiglie”: è un nutrire che passa attraverso il cibo ma è anche un nutrire di inclusione, sollevare gli spiriti delle famiglie in momenti così difficili».

La testimonianza di Wafa

Ne è un esempio Wafa, giovane donna della Striscia di Gaza che non riusciva a trovare un impiego a causa della sua disabilità, fino a quando non le è stata offerta un’occasione. «Lavorare nella cucina comunitaria — dice — è stato un punto di svolta per me, ho ritrovato la fiducia e mi ha garantito un pasto quotidiano e un reddito stabile per prendermi cura dei miei 4 figli, che come me sono sordi, e poi sono molto felice di essere utile a tutta la comunità». Ciò dimostra, aggiunge da parte sua Eleonora Giordano, che «anche in una realtà di guerra la disabilità non può e non deve essere un ostacolo». 

La preparazione dei pasti per 250 famiglie

La preparazione dei pasti per 250 famiglie

L’esperienza della cucina comunitaria andrà avanti fino alla fine di aprile, ma «è un progetto in continua evoluzione, che — ricorda — abbiamo esteso man mano nel tempo in base al supporto che abbiamo ricevuto». Purtroppo la realtà dei fatti è che «la richiesta non è esaurita e c’è necessità di continuare a supportare con pasti caldi» gli abitanti di Gaza.

Ascolta l’intervista con Eleonora Giordano



Dal sito Vatican News

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