Nell’omelia della Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, il cardinale arciprete della basilica di San Pietro richiama l’attenzione sulle sfide del presente, segnato da guerre che nascono dalla mancanza di compassione e dalla fragilità delle relazioni. A indicare la via è il gesto di Gesù che, chinandosi a lavare i piedi dei discepoli, incarna il “dinamismo della prossimità”.
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Il mondo troppo spesso “ci tradisce”, “ci consegna”, per un tornaconto “economico e di potere”. A questa logica, – che arma i conflitti del nostro tempo – si contrappone un nuovo “potere”, insito nel “servire” ed incarnato da Gesù, espressione concreta del “dinamismo della prossimità”. È questa l’immagine consegnata dal cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica Papale di San Pietro, nell’omelia della Messa in Coena Domini del Giovedì Santo. La celebrazione, presieduta dal porporato questa sera, 17 aprile, presso l’Altare della Cattedra della basilica vaticana, concelebrata, tra gli altri, dal cardinale segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, ha contemplato anche il tradizionale rito della Lavanda dei Piedi.
La prima Pasqua, tra oppressione e sofferenza
L’omelia del cardinale Gambetti si è innestata nel solco della storia. Un iniziale ritorno alle origini della Pasqua, quella prima, in Egitto. Terra, al tempo, di “schiavitù, di oppressione, di sofferenza”. Il porporato ha ricordato il termine ebraico da cui deriva la parola Pasqua, ovvero “Pasach”, traducibile in “saltare, proteggere”.
Dio danza dinanzi alle case per proteggere gli anawim, gli umili, i poveri che confidano in lui, mentre la morte passa oltre.
La Pasqua di Gesù, “umano nella prova”
Anche la Pasqua di Gesù, ha notato l’arciprete, si è compiuta nella prova, tra “ingiustizie, vessazioni, calunnie, infermità, violenze, paura, solitudine”. Eppure, in un contesto così buio, egli “desidera ardentemente alimentare l’intimità e la familiarità del focolaio domestico”. Il suo cenacolo è un “mosaico” eterogeneo di umanità. I tratti dei discepoli, i più variegati: “impulsivi e passionali, riflessivi e profondi, ambiziosi e irruenti, sinceri e umili”. Le caratteristiche comuni sono invece la sete di gloria, la debolezza, l’abilità nel nascondere le proprie fragilità.
Mi tocca profondamente questa determinazione di Gesù nel voler condividere il pane e il vino con tutti coloro che il Padre gli ha dato. È così umano, nella prova. E penso a quante occasioni io ho perso di essere così umano davanti alle fatiche della vita, impegnato nel cercare soluzioni o vie di fuga.
La Pasqua del presente, dove latita la compassione
Dalle Scritture, lo sguardo del porporato si è allargato al presente, non meno provato dai troppi “Giuda” che sottraggono “i valori, l’intelligenza, la coscienza, l’amore umano”.
Siamo tutti in vendita, sulla base di un rapporto costi-benefici, per un qualche profitto, economico e di potere.
La denuncia del cardinale Gambetti si è estesa ai legami intessuti nei vari contesti del quotidiano, dove a latitare è la “compassione”. Il mondo “tradisce” in cerca di guadagni, e anche le pratiche religiose rischiano di scivolare in questa logica, quando si piegano a “una qualche forma di gloria, un qualche bene materiale o un qualche potere: vendiamo la nostra fede”.
Le guerre non sono altro che l’esito del declino, della concrezione dei conflitti e del male che è nel mondo. E quanti sono crocifissi, da tutto ciò!
Il cenacolo evangelico non appare poi così lontano da quello delle famiglie dell’oggi. Emergono ancora “fragilità”, “bassa autostima”, “rabbia”, ma anche “sete di libertà, di giustizia, di pace”.
“La sola cosa che gli interessa è l’amore”
A incarnare l’antidoto alle piaghe dei tempi antichi e moderni è la figura di Gesù. Che, ha affermato l’arciprete, “non vuole vincere, essere applaudito, arricchirsi”.
La sola cosa che gli interessa è l’amore. Questo è l’unico sacerdozio. Lava i piedi, anche a Giuda. Mi lava i piedi. Ti lava i piedi. Vive il dinamismo della prossimità, reciproca, vive il verbo del donare e del ricevere, vive il potere di servire e l’impotenza dell’accogliere.
“Il dono di sè per fare vivere il popolo”
Chinandosi sui discepoli, il cuore di Gesù si fa “tutt’uno con la povertà umana e tutt’uno con la maestà divina”, donando “vita” a “tutte le pecore del gregge”. Gesto che attraversa i secoli e continua ad incarnarsi. Come in don Giuseppe Berardelli, il sacerdote bergamasco ricordato dal porporato, che, durante la pandemia, rinunciò al proprio respiratore perché potesse essere usato da un altro. E morì.
Il dono di sé per far vivere il popolo.
Il cardinale Gambetti ha concluso la sua riflessione auspicando un “tempo nuovo” per la Chiesa, in cui essa possa “rivelare la propria natura di popolo sacerdotale”. Una rivoluzione che passa dal “divenire” eucarestia, imitando Gesù, mostrando “l’umanità divina che il battesimo ci ha conferito”.
Il rito della Lavanda dei Piedi
Nel corso della celebrazione, si è compiuto anche il rito della Lavanda dei Piedi. L’arciprete ha chinato il capo dinanzi a persone laiche, uomini e donne che frequentano o lavorano tra le navate della basilica di San Pietro. Volti quotidiani, ognuno con le proprie fragilità, simboli vivi di quel grande cenacolo di umanità evocato dal porporato nell’omelia. Dopo l’orazione finale, una processione guidata dal cardinale Gambetti ha accompagnato il Santissimo Sacramento nella cappella della basilica vaticana preparata per l’adorazione. A fare da cornice sonora, con l’inno Pange lingua le voci della Cappella Giulia, lo storico coro che accompagna le cerimonie celebrate in San Pietro dal Capitolo Vaticano, non presiedute dal Papa. Un’eredità musicale che affonda le radici nel 1513, quando Papa Giulio II riorganizzò questo ensemble che ancora oggi custodisce, nota dopo nota, la bellezza della liturgia.