È una riflessione appassionata quella che lo scrittore e professore Enrico Galiano regala ai social guardando i suoi ragazzi. «Vi racconto questa» scrive Galiano. «Ormai da quasi dieci anni faccio circa tre o quattro incontri con le scuole ogni settimana, in tutta Italia. A volte sono medie, a volte superiori. Quando comincio, faccio da quasi dieci anni sempre la stessa cosa: sto zitto un attimo, e poi dico “Alzi la mano chi ha un sogno”. Alle medie è una festa. Si alzano tutte le mani, a volte anche entrambe, alcuni alzano anche i piedi. E poi tutti fanno a gara – in certi casi proprio a botte – per venire al microfono e dirtelo, qual è il loro sogno: naturalmente il grande classico, il calciatore, ma anche tante cantanti, programmatori di videogiochi, chi dice che qualsiasi cosa ma vuole viaggiare, chi fare i soldi. C’è perfino – incredibile – anche qualche insegnante».
Poi va alle superiori. «Poi vado alle superiori. Qui le mani che si alzano sono molte meno. E certo già questo non può che farti fare qualche domanda: cosa succede in mezzo, a quella metà dei ragazzi che prima la mano la alzavano e poi no? Certo, una parte forse è per via della timidezza, del non volersi esporre, oppure anche la scaramanzia, per quell’eterna infondata paura che se i sogni li dici ad alta voce poi non si avverano. Ma gli altri?».
Ed è qui che il mondo si divide, continua. «Perché qui alla grande differenza fra i licei e i professionali: che al Liceo la mano la alzano in tre quarti. Al professionale, se va bene, un quarto.E ci sono volte che – per esempio la scorsa settimana – uno. Uno solo in tutta la scuola. Quando si dice che la scuola italiana è classista, è di questo che stiamo parlando.
Non è che il latino forma la mente mentre le materie più pratiche no; non è che al Liceo si sviluppa più l’aspetto umanistico e nelle altre scuole quello tecnico o manuale. Non c’è un meglio o un peggio. È che ai professionali, spesso, ci finiscono ragazzi che hanno già smesso di sognare. Chiedetelo a chi ci insegna davvero, in quelle scuole. Chiedetelo a chi fa una fatica immane, davanti a muri di rabbia e rassegnazione. Sono ragazzi incredibili. Ci parli tre minuti e capisci subito che dietro ognuno di loro c’è un mondo, ma anche che quel mondo è spesso sepolto sotto coltri di mazzate che la vita gli ha già dato, di bocciature, di “Non ce la farai mai!”, di famiglie disastrate. La scuola dovrebbe eliminare queste differenze. Non lo fa. E chi lo nega o è un bugiardo, o in un professionale non ci è mai entrato».
E conclude: «E dovreste vedere come scrivono, alcuni. In bigliettini di fortuna, con italiano sgrammaticato e punteggiatura assente, in mezzo a quei foglietti ho trovato dei poeti: dentro quei cappucci d’ordinanza calati sulla testa, c’erano degli Ungaretti e dei Montale, ragazzi che se solo fossero ascoltati, visti, incoraggiati a seguirli davvero dei sogni, quella mano la alzerebbero più in alto di tutti. E allora mi chiedo: chi ha deciso che quei sogni valgono meno? Chi ha stabilito che certe mani debbano restare abbassate, che certi mondi debbano restare sepolti? Perché sotto quei cappucci, tra quei fogli sgualciti, nei silenzi che troppi scambiano per indifferenza, ci sono storie che aspettano solo di essere scritte. E meritano di essere lette».
I commenti sotto al suo post si sprecano: degli insegnanti che si rivedono nelle sue parole, di educatori che ogni giorno spendono in classe per il bene e il futuro dei loro alunni, dei genitori . “La frustrazione che senti, la capisco tutta. È la stessa che sento io, quando vedo giovani che hanno già tirato i remi in barca e tirano a campare”. E ancora, “I ragazzi vanno guardati negli occhi….hanno un mondo dentro quello sguardo”. Ma anche mamme “ho chiesto a mio figlio del suo sogno. Lui è tra quei ragazzi che non ha il coraggio di alzare la mano, perché sente di non avere più diritto a sognare, come se sperare in qualcosa di meglio fosse qualcosa di cui vergognarsi”.