Nel 1942 il conte Nicolò Piccolomini, attore e aviatore, morì a 28 anni in un incidente aereo. Con un lascito testamentario destinò parte del suo enorme patrimonio all’Accademia d’arte drammatica, diretta da Silvio d’Amico, per dare ristoro agli artisti indigenti. La villa affacciata su San Pietro e gli altri beni sono gestiti dalla Fondazione che porta il suo nome e supporta economicamente circa 70 persone ogni anno
Eugenio Murrali – Città del Vaticano
Dal belvedere di Villa Floridi, la basilica di San Pietro appare come un ricamo sul tessuto urbano di Roma. In questo parco luminoso e pieno di rigoglio che si estende lungo via Aurelia antica ha sede la Fondazione Nicolò Piccolomini. Nata nel 1943 grazie al conte di cui porta il nome, oggi è “un’ASP, azienda pubblica di servizi alla persona sottoposta al controllo della Regione Lazio”, ci ricorda l’attuale presidente Edoardo Siravo, che amministra questa realtà insieme alla direttrice Valeria Carovana. Nicolò era il rampollo di una famiglia importante, certo, ma soprattutto un giovane attore e aviatore appassionato e generoso. All’inizio della Seconda guerra mondiale, decise di fare testamento e di lasciare parte dei sostanziosi beni, ereditati dalla madre Anna Menotti, alla Regia Accademia d’Arte Drammatica – allora diretta da Silvio d’Amico -, perché servissero ai bisogni degli artisti più anziani e in difficoltà economica. In media ogni anno l’ente supporta finanziariamente circa 70 persone.
Una fondazione per gli artisti anziani e indigenti
Dando effetto al testamento di Nicolò, il 15 marzo 1943 il re d’Italia Vittorio Emanuele III decretò la nascita dell’ente morale “Fondazione Nicolò Piccolomini per la Regia Accademia d’Arte Drammatica”. Il direttore d’Amico si trovò tuttavia a fronteggiare numerosi ostacoli, e i desideri del giovane uomo poterono realizzarsi, in parte, molti anni dopo la sua prematura morte. Nel 1964 la fondazione entrò finalmente in possesso dei beni e della storica villa Floridi, con la sua Casa del Sole, che però non è potuta diventare una residenza per attori anziani intitolata ad Anna Menotti Piccolomini, come avrebbe voluto il suo ultimo proprietario. Specifica il presidente: “La villa non può essere usufruita come una casa di riposo, perché è sotto la tutela dei beni culturali, essendo un edificio del Seicento”.
Un supporto per i bisognosi
Tuttavia, grazie all’affitto di una parte del patrimonio, la fondazione riesce a dare sostegno agli artisti indigenti. Le attrici e gli attori, a riposo o in attività, che si trovino in difficoltà economiche, partecipando a un bando che esce generalmente in autunno e dichiarando i propri redditi, ricevono un sussidio in denaro da parte della fondazione, sul cui sito internet appaiono alcuni attestati di gratitudine come questo: “Ringrazio coloro che aiutano le persone meno fortunate a poter recuperare un po’ di dignità in questi giorni così difficili. Dove la solitudine e la povertà sono le sole compagne di viaggio”. Ma l’attività caritativa sembra destinata a crescere in un futuro prossimo, perché, come ha raccontato Siravo, l’azienda ha superato un contenzioso, vincendo una causa che le permetterà di avere nuove risorse: “Con questi soldi faremo delle opere per coloro che hanno diritto alla nostra assistenza” e forse sarà possibile anche aumentare il contributo economico per chi ne abbia diritto.
Una casa per gli attori
La storia della fondazione è molto travagliata, fatta di lotte legali e burocratiche che hanno speso reso difficile l’attività di assistenza e beneficenza. Gli artisti, tra cui l’ex presidente Benedetta Buccellato e attori come Giampiero Bianchi e Ludovica Modugno, hanno opposto una forte resistenza, fino all’occupazione, per difendere l’ente: “Molti attori sono davvero attaccati alla fondazione”, racconta Siravo. “Tanti adesso non ci si sono più, ma si sono ribellati e hanno lottato perché si ottenesse che la fondazione avesse una sua struttura autonoma e indipendente, cosa che, nonostante il controllo della regione, si è avverata”. Nelle volontà di Nicolò, il suo lascito doveva servire anche ai bisogni dell’Accademia d’Arte Drammatica. Gli artisti hanno un forte legame con questo luogo di superba bellezza, che, come afferma Siravo, deve essere una casa per il popolo del teatro. Passeggiando nel parco, con Roma e le sue cupole sullo sfondo, si possono ammirare alberi antichi su cui, di tanto in tanto, viene apposta una targhetta di ottone con il nome di un’attrice o di un attore. Tanti alberi e altrettanti grandi spiriti della scena respirano in questo giardino sospeso sulla città.
Un giovane conte innamorato del teatro
La personalità di Nicolò Piccolomini è frutto del connubio tra il nobile lignaggio del padre, Silvio Piccolomini, e la vivacità dell’estrosa madre Anna Menotti. L’ultimo conte della Triana nacque a Roma nel 1913. Dopo la separazione dei genitori, nel 1920, passò parte dell’anno con il padre a Pienza, la città ideale su cui Pio II aveva lasciato la sua impronta anche con il mirabile palazzo rinascimentale progettato da Bernardo Rossellino. Gli altri mesi con sua madre, figlia del ricchissimo imprenditore romano e politico Carlo, donna colta e progressista.
La figura di Nicolò va inserita nel complesso periodo storico segnato dalla dittatura fascista. In quel clima, pieno di ombre, Piccolomini visse e agì. Il suo lascito per gli attori indigenti testimonia la sua generosità e la sua sensibilità artistica. Nel 1935, pur senza l’approvazione paterna, si iscrisse alla Regia Accademia d’Arte Drammatica. Insieme al compagno d’accademia Alessandro Brissoni fondò poi la compagnia Il carro dell’orsa e collaborò, tra l’altro, con l’attore Antonio Crast. Richiamato alle armi, morì con altri quattro avieri poco dopo il decollo dall’aeroporto di Capodichino, a Napoli, per l’esplosione del velivolo. Morì il 20 gennaio 1942 .
Ascendenze papali
Cinque secoli dividono Nicolò Piccolomini, quindicesimo conte della Triana, dal suo più illustre avo Enea Silvio, Papa Pio II, umanista del Quattrocento. Eppure in entrambi si è manifestato un profondo amore per l’arte e la cultura. In Nicolò quella tensione umanista si è espressa nella recitazione ed è diventata l’illuminato altruismo di cui si fa carico oggi la Fondazione. Enea Silvio Piccolomini, poi Pio II, ricoprì ruoli rilevanti, anche come scrittore e oratore, all’interno del concilio di Basilea, nel corso della sua vita scrisse opere ragguardevoli e ben note nell’Europa del quindicesimo secolo, tra cui i Commentarii, che alcuni considerano la sola autobiografia di un Pontefice in età umanistica.