Flannery O’Connor è stata una delle più grandi narratrici del Novecento, in buona compagnia con Steinbeck, Hemingway, Faulkner, ma più di nicchia. Il centenario della sua nascita offre l’occasione di riscoprirla, grazie anche al romanzo intenso e appassionato La ragazza di Savannah (Mondadori), che Romana Petri le ha dedicato: «Era un genio assoluto. È stato bellissimo e tremendo essere stata lei, un’esperienza abbastanza sconvolgente». Tale non poteva non essere per la complessità di un personaggio “immenso”, eccentrico ed estremo, che nei suoi due romanzi, La saggezza nel sangue e Il cielo è dei violenti, e nei 32 racconti ha cercato di intercettare quel punto nodale, dove la terra e il cielo, l’umano e il divino, si congiungono nell’incarnazione di Cristo. Un amalgama di luce e di buio, di carne e di spirito, di peccato e di redenzione.
Nata a Savannah, in Georgia, il 25 marzo del 1925 da genitori irlandesi, la Mary Flan della Petri ci viene incontro, bambina, mentre prende a pugni l’angelo custode perché non accetta intermediari fra lei e quel Dio che diventerà il nucleo propulsivo della sua esistenza: «Signore, fa’ che io ti desideri. Per me sarebbe la felicità più grande». A sei anni diventa famosa per avere insegnato a un pollo a camminare avanti e indietro. Scriverà molti anni dopo: «So per certo che quello è stato il momento più importante della mia vita. Tutto il resto un decrescere». Il pollo le aveva insegnato che niente è impossibile.
Nella fattoria di famiglia, dove trascorre la sua sofferta esistenza, minata da un lupus eritematoso, alleva oche, polli, galline alle quali cuce vestiti, acquista 40 pavoni che con il loro splendore diventano un lenimento per le ferite fisiche e le angosce interiori, le ricordano «un cielo stellato simbolo dell’immortalità (…) sono la mappa dell’universo».
Ma, soprattutto, dopo aver sognato amori impossibili che si affacciavano e scomparivano, si dedica al suo Dio. «(…) Ho un compito molto importante: devo imparare a usare le parole per raccontare Dio. Mi sto “convertendo” alla scrittura e uso questo verbo per farti capire che non rinuncerò mai alla mia identità e alla mia fede. Sto cercando di fare ordine per sentirmi spiritualmente tutta di un pezzo. Avrò un ruolo, quello della scrittrice cattolica del sud», scrive alla mamma. E aggiunge: «Tra me e la maggior parte degli scrittori c’è una differenza. Loro pongono l’uomo al centro delle loro storie. Io ci metto Dio». Ma le vere lettere, come racconta Romana Petri, le scrive a Dio con il quale entra in una comunione sempre più intima, lottando con le parole per riuscire a parlarne in modo sublime. La sua è una fede travagliata: «Non è una coperta, è una croce. La sofferenza è un antidoto alla fede tiepida. Bisogna essere violenti per conquistare il Regno dei cieli, violenti contro i propri egoismi, violenti verso sé stessi, imitando il Cristo Salvatore».
Mary Flan in quel Cristo trova la forza, che la malattia sempre più invalidante le sottrae, per viaggiare e recarsi di continuo a tenere conferenze, partecipare a convegni, incontrare e confrontarsi con le tante persone che l’ammirano. Riesce ad andare a Lourdes con un pellegrinaggio e a Roma, dove ebbe modo di incontrare Pio XII. I medici le avevano pronosticato pochi anni di vita, li moltiplica fino a trentanove. Grazie anche a quella madre autoritaria e severa – il padre molto amato era morto anche lui per un lupus – che non riuscì mai a capire quella figlia ribelle e anticonformista, sarcastica e ironica, che scandalizzava con il suo “cattolicesimo” i benpensanti di un Sud tradizionalista, ma che le rimase sempre accanto con dedizione granitica.
Nel ranch Andalusia, Mary Flan costruì ogni giorno la sua personale teologia, ispirata a san Tommaso, soprannominato «l’Aquinate», e arricchita dalla scoperta di Teilhard de Chardin e di Simone Weil. Una teologia fondata sul volto del Cristo crocefisso che scopriva nel dolore della gente comune, nelle vicende di ogni giorno, nei protagonisti dei suoi racconti, nelle loro esistenze disastrate di falliti e di balordi, di violenti, dove Dio offre a ciascuno, come a tutti noi, la sua grazia redentrice.