«Siamo su un’arrampicata, vicini al traguardo. Gli ultimi passi sono sempre più difficili. E occorre spostare lo sguardo, cambiare direzione, per vedere la vetta».
Per aiutarci a capire cosa sia successo alla seconda Assemblea sinodale della Chiesa italiana, torna utile la metafora che ha usato un delegato il secondo giorno di lavori, quando era evidente il disagio che circolava tra i partecipanti rispetto al testo delle proposizioni da votare.
L’assemblea che si è tenuta dal 31 marzo al 3 aprile, nell’aula Nervi in Vaticano, contrariamente a quanto era previsto, ha deciso di non approvare il documento che doveva essere consegnato all’assemblea di maggio della Cei. Si è deciso di raccogliere emendamenti e integrazioni per arrivare a qualcosa di più condiviso, che rispecchiasse la ricchezza del cammino fatto in questi cinque anni dalla Chiesa italiana ai vari livelli.
Il che ha fatto annullare l’assemblea primaverile dei vescovi, rimandandola a novembre, e fissato un nuovo appuntamento per i 1.008 delegati sinodali, il 15 ottobre, a Roma. Sicuramente una notizia che ha suscitato sorpresa in chi, fino al 3 aprile, ha considerato la Chiesa italiana sonnacchiosa e un po’ imbalsamata.
Al di là di quello che avverrà quando la “vetta” sarà raggiunta, i giorni romani suscitano diverse riflessioni. Per la prima volta la Chiesa italiana ha deciso di scrivere le linee decennali del suo cammino mettendosi in ascolto del popolo di Dio. Insomma, se fino a ieri i piani pastorali sono stati decisi dall’alto, in questi cinque anni di cammino sinodale è stato chiesto anche a chi vive nelle comunità, a chi la Chiesa la fa dal basso, di scegliere quali sono le priorità su cui concentrarsi. E a Roma, dai 28 gruppi di studio, sono arrivate alcune indicazioni: l’accompagnamento delle persone in situazioni affettivi particolari, la responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne, l’obbligatorietà dei consigli pastorali, l’attenzione ai giovani e ai fragili, la promozione dello sviluppo umano integrale.
n secondo luogo l’assemblea sinodale ha mostrato il volto di uomini e donne che sentono tutta la responsabilità di fare la loro parte nella costruzione di una comunità evangelicamente trasparente. Insomma non è più il tempo delle fazioni ecclesiali, questo.
Certo, esistono opinioni diverse – «c’è tutta l’arco parlamentare, ali estreme comprese, anche tra i vescovi», ha scherzato don Erio Castellucci in conferenza stampa – ma non è la divisione che si è registrata in altre assise. Così come non sono stati espressi timori reverenziali da parte dei laici e delle laiche nei confronti dei presbiteri o dei vescovi. Chi ha capelli brizzolati ricorda i veti che, dall’alto, in passato hanno bloccato opinioni diverse. Con la conseguente mortificazione di tanti laici (e anche vescovi) pensanti. Infine, come ha osservato qualcuno, in questo cammino è stato importante non solo il cosa, ma anche il come.
Il metodo sinodale, già sperimentato a livello di Chiesa universale, ha realmente fatto vivere un’esperienza di Chiesa. Quella che sembrava una parola un po’ “marziana”, “sinodalità”, alla fine attraverso la prassi è diventata vissuto, fatta di confronto, ascolto, preghiera. Il passo falso finale, la sintesi affrettata, più che gettare ombre sul cammino si è rivelato una cartina al tornasole: invece di arroccarsi al programma rischiando di spaccare l’assemblea, la scelta di aggiornarsi per maturare insieme un testo condiviso ha mostrato che il Sinodo funziona e ha già dato i primi frutti.
(Immagine in alto: Vescovi alla Messa in chiusura dei lavori della Seconda Assemblea Sinodale, foto ANSA)