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Enrico Galiano commenta il testo della canzone di Lucio Corsi “Volevo essere un duro”

«Viviamo in un mondo che ci spinge a essere forti, vincenti, impenetrabili. Dove l’eroe è quello che non si piega mai, che lotta, che vince. Ma cosa succede a chi non ce la fa? A chi non è un duro? A chi cade dagli alberi invece di restare aggrappato?». Esordisce così lo scrittore e professore Enrico Galiano, analizzando il testo della canzone di Sanremo di Lucio Corsi in un video sui social. Un’analisi appasionata e appasionante, a cavallo tra le sue competenze linguistiche e la sua passione per la musica. Un’operazione riuscitissima che aiuta a cogliere i signiticati più reconditi dei testi, al di là della loro orecchiabilità.  

«Con Volevo essere un duro Lucio Corsi ci regala una risposta potente e rivoluzionaria» spiega Galiano: «l’eroe non è chi non ha paura. L’eroe è chi la riconosce. L’anti-eroe che siamo tutti noi. Fin dal primo verso, Corsi ci mette davanti al suo desiderio impossibile:
Volevo essere un duro
Che non gli importa del futuro
Un robot
Un lottatore di sumo…

Sogna di essere un gigante invincibile, uno che non si fa domande, che guarda avanti senza paura. Un eroe costruito sulle immagini che la società ci ha inculcato».

Ma poi, prosegue Galiano, «la confessione: 
Però non sono nessuno

Non sono nato con la faccia da duro

Ho anche paura del buio…
Ed è qui che la canzone diventa qualcosa di più di una semplice ballata nostalgica. Corsi ci presenta un nuovo paradigma di eroe: quello che si accetta per quello che è. Lontano dai modelli dominanti di forza e spavalderia, il protagonista di questa canzone è fragile, normale, umano».

La normalità come rivoluzione: «Viviamo in un mondo che idolatra i supereroi, gli uomini di ferro, gli invincibili. Ma Volevo essere un duro rovescia il tavolo: e se il vero coraggio fosse accettare di non essere niente di speciale? 
“Cintura bianca di Judo,

Invece che una stella uno starnuto.”

Non un campione, non una leggenda. Solo uno che si sforza, che inciampa, che forse non arriverà mai in cima. E va bene così».

E prosegue:
«“Ma non ho mai perso tempo

È lui che mi ha lasciato indietro.”

Questa frase è un colpo allo stomaco. Quante volte ci sentiamo dire che dobbiamo “muoverci”, “essere veloci”, “stare al passo”? Ma Corsi ribalta la prospettiva: non sono io a essere lento, è il tempo a correre troppo. Il mondo non aspetta nessuno, e allora? Chi ha detto che bisogna rincorrerlo a tutti i costi?

L’eroe che non si nasconde più».

E conclude: «La canzone si chiude con la resa più onesta che si possa immaginare:

“Io volevo essere un duro

Però non sono nessuno

Non sono altro che Lucio.”

E qui sta il cuore della rivoluzione di Corsi. Riconoscersi per ciò che si è, senza bisogno di maschere, senza bisogno di diventare qualcun altro. In un mondo che ci chiede di essere eroi, Lucio Corsi ci insegna che non esserlo è l’unico vero atto di eroismo. Non serve essere invincibili per vivere. A volte basta solo essere noi stessi».

Il tutto arricchito dalle numerose figure retoriche che arricchiscono il testo e che Galiano analizza puntualmente. 
Foto di copertina, Ansa





Dal sito Famiglia Cristiana

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