Alberto Chiara in udienza da Francesco con la moglie Marina.
«Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente». Per Alberto Chiara, nel giorno della morte di papa Francesco, queste parole di Anatole France che Carlo Carretto amava citare hanno un che di rivelatorio. Giornalista e scrittore, già caporedattore a Famiglia Cristiana dove è stato coordinatore del desk Chiesa, osservatore alle assemblee del Sinodo, Chiara ricorda ancora il primo discorso ufficiale di Francesco a Rio de Janeiro. Era il 2013, e il pontefice invitò a rileggere il passaggio del vangelo di Luca in cui si parla di Emmaus, il villaggio a pochi chilometri da Gerusalemme dove Cristo apparve a due discepoli dopo la morte sulla croce. Quell’episodio, disse, poteva aiutarci a diventare una chiave di lettura del presente. Per ricordarlo, i francescani della Custodia di Terra Santa si recano in pellegrinaggio proprio a Emmaus, oggi diventato il villaggio di El-Qubeibeh. Lo fanno il lunedì di Pasqua: lo stesso giorno in cui la chiesa resta sconvolta dalla scomparsa di Francesco. Un caso? Forse, o forse è la chiusura di un cerchio. Che lascia intravedere la stessa firma di cui parlava France.
Quali sentimenti ha provato nell’apprendere la notizia della morte del papa?
«Tanti e tumultuosi. Amava ripetere: “Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca”. Ecco: se ne va forse l’unico profondo interprete dei tempi che viviamo, da lui letti in ogni loro piega e affrontati aiutando tutti a non disperare, anzi».
Quale ricordo le è subito venuto in mente?
«Un discorso di Jorge Mario Bergoglio a Rio de Janeiro durante la Giornata mondiale della gioventù 2013».
Quale dei tanti pronunciati?
«Quello fatto ai vescovi brasiliani sabato, 27 luglio 2013. Fu quasi un discorso programmatico».
Cosa la colpì?
«L’icona di Emmaus che il Papa suggerì come chiave di lettura del presente e del futuro. “Anzitutto non bisogna cedere alla paura – disse Francesco – al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti”. Il Santo Padre invitò a rileggere in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus. “I due discepoli – ricordò – scappano da Gerusalemme. Si allontanano dalla ‘nudità’ di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno. Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa – la loro Gerusalemme – non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione”. Un’analisi sempre valida».
Che fare, allora?
«Bergoglio partì da una constatazione ancora attuale. “Forse la Chiesa – sostenne – è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica”. Che fare, allora, lei mi chiede… Se lo chiese anche Jorge Mario Bergoglio. Rispondendosi così: “Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”».
Parole che sembrano scritte oggi….
«La Chiesa in uscita, la Chiesa ospedale da campo, il continuo richiamo alla misericordia fondato su ascolto, dialogo e perdono: il pontificato di Jorge Mario Bergoglio è già tutto in quel discorso. Che in qualche modo contiene una suggestione temporale interessante, legata a queste ore».
Quale?
«La Chiesa offre l’ascolto della pagina dei discepoli di Emmaus nella Messa vespertina di Pasqua. Durante il Lunedì di Pasqua i francescani della Custodia di Terra Santa si recano in pellegrinaggio a Emmaus, nel villaggio di El-Qubeibeh, a 11 chilometri da Gerusalemme».
Un caso?
«Carlo Carretto, citando lo scrittore francese non particolarmente religioso Anatole France, diceva che “il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente”».