«Il carcere minorile va abolito così com’è». A dirlo alla sua maniera, franca, schietta e incisiva è don Antonio Mazzi, il 94enne fondatore e presidente di Fondazione Exodus. Che aggiunge: «Il sistema della giustizia minorile deve invece essere pensato come un “pronto soccorso” per i ragazzi che devono starci, al massimo, qualche ora e poi devono essere indirizzati in strutture rieducative organizzate in piccoli gruppi. E sia chiaro», tuona il presidente di Fondazione Exodus «i ragazzi non devono scontare nessuna punizione o pena, ma confrontarsi con i loro errori per cercare di capirli e ripartire da quella consapevolezza».
Secondo Mazzi i ragazzi devono ragionare sugli errori fatti e immagazzinare esperienze di vita positive, non pene, «dobbiamo anche cambiare linguaggio che usiamo nella giustizia e nell’educazione se vogliamo una trasformazione reale, quindi la parola pena va abolita. Aggiungo che ipotizzare un numero dispari di ragazzi per ogni struttura non è una scelta casuale, le coppie non vanno mai bene e lo sappiamo dalla nostra esperienza: molti dei ragazzi che abbiamo a Exodus in comunità arrivano proprio dal carcere», spiega don Mazzi. Che aggiunge: «Se fosse stata data loro l’opportunità di fare un percorso direttamente fuori dal carcere le cose sarebbero andate meglio perché resto convinto che gli errori che i ragazzi fanno da giovani non devono essere considerati dal punto di vista penale, ma solo rieducativo».
Ed è proprio per contrastare una visione di carcere e giustizia per minori ormai molto radicata, che Fondazione Exodus ha avviato nel 2020 il progetto “Pronti, Via!”, selezionato e sostenuto dell’impresa Sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Un intervento quadriennale per dare una risposta psico-socio-educativa a minori sottoposti a misure restrittive da parte della Autorità giudiziaria, attraverso il modello “Carovana”, una intensa esperienza educativa itinerante che fa parte del Dna di Exodus e che mira a diventare proposta strutturata integrata dei servizi giustizia minori. In pratica i ragazzi scontano una parte della loro pena in viaggio, anziché in carcere. La realizzazione dell’idea di don Mazzi. Il progetto è nato «per creare delle soluzioni diverse per questi ragazzi che sbagliano, per fargli concretamente vedere che gli errori si possono riparare, non con misure repressive ma trovando delle modalità educative attraverso il viaggio, attraverso l’avventura educativa di un viaggio», spiega Franco Taverna, coordinatore della Fondazione e referente nazionale del progetto alla Cineteca MIC di Milano dove il 7 novembre Exodus insieme a Coni Bambini ha realizzato un convegno per parlare, far conoscere e ragionare su questi temi.

A questo punto è necessario fare un passo indietro. Precisamente al 25 marzo 1985. Dal Parco Lambro di Milano don Mazzi partiva il primo progetto educativo itinerante, «Exodus», racconta Taverna, «nasce con una carovana. Perché Exodus è una carovana, vera, concreta, sudata e metaforica. Nel 1985 il tema era quello delle sostanze, oggi quello della devianza. Ma allora come oggi siamo partiti con una proposta che ha rotto gli schemi di intervento allora consolidati. Nuova, provocatoria, coraggiosa per nove mesi ha fatto tappa in tutta la Penisola. Una carovana a suo modo vincente che ha dimostrato che un altro modo di affrontare il dramma della droga era possibile, che con l’avventura e la relazione educativa gli adolescenti e i giovani perduti potevano ritrovarsi. Ecco, io penso che anche oggi avevamo bisogno di una proposta allo stesso modo nuova e dirompente, che davanti al forte disagio e alle domande di aiuto avanzate dalle ragazze e dai ragazzi non resti chiusa nel lamento dei tempi difficili ma che si metta al loro fianco ascoltandoli e camminando insieme su sentieri non ancora esplorati».
E così Pronti, Via! è un progetto di rottura afferma Franco Taverna, che coordina a livello nazionale il progetto Pronti,Via! che ha coinvolto anche i Centri per la Giustizia Minorile di Lombardia, Lazio, Puglia e Sicilia e le Cooperative Ex.it e Pegasus (Lombardia) Gli Aquiloni (Lazio) e Etnos (Sicilia): «Dopo la pandemia che ha innestato ulteriori complessità nella vita degli adolescenti e delle loro famiglie, la disuguaglianza sociale è aumentata, i servizi socio-educativi sono particolarmente sollecitati e faticano a comprendere e ad agire. Le manifestazioni di grave disagio da parte di ragazzi e giovani si sono moltiplicate, sia nella forma della violenza contro sé stessi che verso gli altri. Di fronte alle nuove forme di espressione della sofferenza il mondo educativo e formativo della scuola si trova molto impreparato e con pochi strumenti. Allo stesso modo anche il sistema rieducativo di contenimento, in capo alla giustizia minorile, è in affanno: solo nell’ultimo anno sono scoppiate numerose rivolte e fughe in diversi Istituti di pena minorile in Italia, a Milano, Torino, Roma, Bologna, evidenziando problemi cronici legati alle condizioni carcerarie, ma anche nuovi acuti problemi di adeguatezza del personale davanti alle crisi legate alla salute mentale oltre che ai necessari supporti educativi e psicologici».
«In questi 5 anni di strada abbiamo appreso molto», continua Taverna; «Pronti, Via! è nato dalla necessità di costruire percorsi alternativi alla detenzione o alla “messa alla prova” territoriale per minori che hanno commesso reati. Fin dall’inizio una bella e impegnativa proposta educativa vissuta in gruppo, camminando su sentieri del Nord, del Centro e del Sud Italia. Un intervento quadriennale per dare una risposta psico-socio-educativa a minori sottoposti a misure restrittive da parte dell’autorità giudiziaria, proprio attraverso il “modello carovana” e che mira a diventare proposta strutturata integrata dei servizi giustizia minori. Invece di chiuderli dentro ci siamo chiusi fuori, tutti insieme».
La Carovana è un’avventura faticosa e insieme affascinante, come la vita. Lo sa bene anche Alex che ha partecipato a questa esperienza: «Sono nato a Brescia, nel 2002. Ho 17 anni. Ho fatto un sacco di casini in giro. Mi hanno denunciato per il furto di una bici, ma la bici non l’ho rubata. Poi mi hanno denunciato perché ho rubato in un supermercato, questo è vero. E ancora mi hanno denunciato per una rissa, anche questo è vero. La carovana mi ha cambiato il modo di vedere il mondo e anche me stesso». Alla sua testimonianza fa eco Omar: «Ho fatto la carovana due anni fa. Ora grazie a un educatore ho iniziato la scuola alberghiera e mi piace molto».

Il progetto prevede che vengano realizzate non meno di sette carovane per 100 ragazzi con un’età compresa tra i 14 e i 18 anni. La gestione complessiva è affidata a una équipe di Coordinamento che è composta da un coordinatore responsabile, un formatore, uno psicologo e una psichiatra. A questa è affidato il compito della Formazione degli operatori e costituzione delle équipes educative per ogni carovana, assicurando il consolidamento e il miglioramento di competenze e conoscenze per tutta la durata del progetto.
All’incontro promosso dalla fondazione milanese è intervenuto anche Silvio Premoli, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale dell’Università Cattolica di Milano e garante per l’infanzia e l’adolescenza città di Milano, una figura istituita nel 2014 che ricorda: «La carenza di educatori è una vera e propria emergenza nazionale. Senza di loro non si può avere a che fare in modo efficace con i ragazzi. L’emergenza attuale deve essere affrontata con un confronto franco tra tutti gli stakeholders, con tempestività e collaborazione tra la politica, gli atenei e il Terzo settore. Ascoltando sempre i ragazzi perché sono loro al centro, non solo di progetti e iniziative educativa, ma di un percorso che riguarda le loro vite e che li deve rendere protagonisti».

Protagonisti di nuovi percorsi nelle loro vite e di occasioni per ricucire lo strappo di un reato. «”Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine”, è anche il titolo di un documentario e progetto divulgativo che dal 2003 sensibilizza sui temi della giustizia, le regole, i conflitti, la trasgressione, il carcere, la convivenza civile e la lotta alle mafie», spiega Francesco Cajani, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano che ricorda anche come tra le attività più significative del progetto ci sia l’organizzazione di un workshop in carcere, avvalendosi dell’esperienza del Gruppo della Trasgressione, fondato dallo psicoterapeuta Angelo Aparo, che fa incontrare i detenuti che ne fanno parte ogni settimana e ha anche l’obiettivo di accompagnare per mano una trentina di ragazzi (di età compresa fra i 18 e i 22 anni) alla scoperta di volti, realtà e luoghi significativi della realtà milanese. Ed è proprio Aparo, tra i relatori dell’incontro al MIC, che invita sul palco anche Matteo, detenuto nel carcere milanese di Opera e membro del Gruppo della Trasgressione che ha partecipato alla Carovana del progetto Pronti Via!: «Sono andato due giorni alla tappa di Genova a portare la mia testimonianza di detenuto 43enne. Sono tornato in carcere a Milano arricchito da quell’incontro, dalla storia di un ragazzo migrante che è scappato attraverso il mare senza saper nuotare che quel giorno, nel mare ligure ha sfidato le sue paure e imparato a farlo. È stato il primo giorno che ho visto il mare da sobrio e senza stupefacenti in corpo. Ne sono uscito pieno di vita, io, che ero stato chiamato a fare da relatore e a trasmettere la mia esperienza». La magistrata di sorveglianza presso il Tribunale di Milano, Roberta Cossia alla luce di una questo commenta: «Sono felice quando persone come Matteo dal carcere possono uscire e fare queste esperienze arricchenti. Ma il problema è che questo possono farlo grazie a enti del Terzo settore e associazioni, quando dovrebbe essere lo Stato ad avviare o comunque supportare questi progetti».
Un passo in questa direzione è l’esperimento – riuscito – «del ‘Reparto La Chiamata’ del carcere di San Vittore a Milano, dove», specifica in conclusione Aparo «i giovani adulti reclusi sono sono mai così tanti. In questo spazio accogliamo giovani tra i 18 e i 25 anni in carcerazione preventiva, quindi non ancora condannati in via definitiva, iniziando già in quel momento, un percorso». Anticipando quindi il dettame dell’articolo 27 della Costituzione che troppo spesso in carcere non viene applicato.