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«Dentro l’inferno di Gaza, le persone sognano ancora»


«C’è un totale bipolarismo tra quello che vediamo fuori e quello che viviamo dentro la clinica: fuori c’è la devastazione, dentro si parla di lavoro, di futuro, di figli. Nonostante tutto, qui si cerca ancora la normalità».

A parlare è Eleonora Bruni, ostetrica italiana di Emergency, da mesi nella Striscia di Gaza. Coordina le attività di salute materna e riproduttiva in un ambulatorio a Khan Younis. Un luogo in cui si continua a parlare di prevenzione, allattamento, parto e contraccezione, mentre fuori – pochi metri più in là – si contano i morti sotto le macerie e si sopravvive in tende improvvisate.



«Le donne che vengono da noi hanno perso la casa, molte hanno perso anche familiari. Alcune vivono accampate con otto o dieci persone in pochi metri quadrati. Ma non rinunciano a prendersi cura di sé e dei propri figli. La forza con cui affrontano ogni giorno mi lascia senza parole».

L’ambulatorio, gestito da personale locale con il supporto internazionale di Emergency, è diventato un presidio fondamentale per una popolazione ormai privata di tutto. «A Gaza è scomparso completamente il servizio di medicina territoriale. Gli ospedali che funzionano sono pochissimi, e sono al collasso. Ma la rete di cliniche, i centri sanitari diffusi, quelli più accessibili soprattutto per le donne, sono stati distrutti o chiusi».

«Quando siamo arrivate, ci siamo chieste se fosse il caso di riattivare un servizio di salute riproduttiva in un contesto di guerra. Ci sembrava un paradosso. E invece era proprio ciò che mancava. Le donne vogliono essere seguite in gravidanza, vogliono sapere come allattare correttamente, vogliono parlare di salute e contraccezione. Continuano a desiderare un futuro».

Eppure, anche dentro l’ambulatorio, la guerra entra. «In questi mesi ho imparato a capire il tipo di missile dal suono che fa. I bambini che aspettano le mamme fuori dalle sale visita a volte si mettono a piangere per il rumore di un drone. Abbiamo tutti interiorizzato un livello di tensione costante. Ma non ci fermiamo».

«Il nostro staff locale è straordinario. Alcuni colleghi hanno perso la casa, altri vivono in condizioni estreme, ma non hanno mai smesso di venire a lavorare. Uno di loro mi ha detto: “Non posso curare me stesso, ma posso curare gli altri”. È questo lo spirito che ci tiene in piedi».

La dignità, qui, è anche passare una mano tra i capelli di un bambino, garantire una visita a una donna incinta, dare un consiglio con un sorriso.

«L’altro giorno una giovane madre, venuta per la visita post parto, ci ha detto: “Volevo solo sapere se sto facendo tutto bene”. Ci ha ringraziate mille volte. Le nostre parole, qui, hanno un valore enorme. Perché sono un segno che non sono sole».


Al-Qarara, una nuova clinica per la Striscia

Nonostante le difficoltà logistiche, la carenza di materiali e un conflitto che non dà tregua, Emergency ha inaugurato una nuova clinica nella località di al-Qarara, all’interno della cosiddetta “area umanitaria” nel governatorato di Khan Younis. Una struttura che punta a fornire assistenza sanitaria primaria a un bacino di circa diecimila persone, in un contesto in cui quasi il 90% della popolazione vive in tende o rifugi di fortuna.

«Nonostante l’inizio della tregua, i bisogni della popolazione restano enormi», spiega Francesco Sacchi, capomissione di Emergency a Gaza. «Questa clinica è una risposta concreta, anche se sappiamo che ci vorrà molto tempo per curare le ferite di questa guerra».

La struttura, organizzata in ambulatori multipli, pronto soccorso, sala osservazione, un’area ginecologica e una farmacia, è gestita da uno staff misto di operatori locali e internazionali. Permetterà di trattare fino a 300 pazienti al giorno, rispondendo a patologie sempre più diffuse a causa delle condizioni di vita disumane: gastroenteriti, infezioni respiratorie, dermatiti.

«Abbiamo assistito oltre settemila pazienti da agosto 2024 – racconta Giorgio Monti, coordinatore medico –. La popolazione è stremata. Anche chi ha provato a tornare nelle proprie case, le ha trovate rase al suolo. E molti sono tornati a vivere nelle tende. La ricostruzione sarà lunga e difficile».

Secondo le stime, il 69% degli edifici nella Striscia è stato distrutto, il 92% di questi erano abitazioni. Diciotto ospedali su trentasei sono parzialmente funzionanti. E mentre si cercano soluzioni a lungo termine, strutture come quella di al-Qarara rappresentano un’àncora fondamentale.


Una colomba per la pace

Dal 10 al 13 aprile, in centinaia di piazze italiane sarà possibile acquistare la “Colomba di pace” di Emergency, il dolce pasquale che sostiene i progetti dell’organizzazione nella Striscia di Gaza. L’iniziativa ha un valore simbolico e pratico: finanzia gli ambulatori della Ong e ricorda, in giorni di festa, che la pace è ancora lontana.

«Vogliamo chiedere un cessate il fuoco immediato, la protezione dei civili e l’accesso agli aiuti umanitari», dioce Emergency.

La colomba pesa 750 grammi, è realizzata con mandorle intere e arance candite siciliane, ed è distribuita nella shopper della campagna R1PUD1A, ispirata all’articolo 11 della Costituzione italiana. Costo: 20 euro. È disponibile anche online e nei negozi Emergency di Milano, Torino, Roma e Genova. Acquistandola, si contribuisce a tenere in piedi le strutture sanitarie della Ong nella Striscia: la nuova clinica di al-Qarara e l’ambulatorio CFTA ad al-Mawasi, dove si curano ogni giorno centinaia di pazienti, spesso privi di tutto.

In un territorio in cui, da ottobre 2023, si contano oltre 50mila morti e 113mila feriti, ogni gesto di solidarietà può fare la differenza. Anche un dolce. Anche una colomba.





Dal sito Famiglia Cristiana

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