Damasco, all’alba di domenica: una pagina di storia si chiude in Siria. Con un’offensiva iniziata il 27 novembre, i ribelli guidati dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) sono entrati nella capitale dopo appena 12 giorni, decretando la caduta del regime di Bashar al-Assad. La televisione di Stato ha trasmesso un messaggio di resa: il presidente è stato rovesciato e i detenuti politici liberati.
Il collasso del regime
Un video diffuso nelle ore successive ha mostrato un rappresentante della “Sala operativa per la conquista di Damasco” invitare i cittadini a preservare le istituzioni statali per costruire un nuovo “Stato siriano libero”. Nel frattempo, Assad avrebbe lasciato il Paese, secondo alcune fonti in direzione di una base russa, per poi dirigersi verso Mosca. Nessuna conferma ufficiale è però arrivata da parte del governo siriano.
Scene di caos si sono registrate nella capitale: posti di blocco abbandonati, soldati in fuga e saccheggi nei principali edifici governativi. Tra i simboli del regime crollati, la statua di Hafez al-Assad, padre di Bashar, abbattuta dai ribelli.
Un’offensiva senza precedenti
L’avanzata dei ribelli è stata fulminea: in meno di due settimane hanno preso il controllo di città strategiche come Homs, Aleppo e Hama, oltre alla famigerata prigione di Saydnaya, a nord di Damasco, dove sono stati liberati molti detenuti. La radio filogovernativa Sham FM ha riportato che l’aeroporto di Damasco è stato evacuato e tutti i voli sospesi.
Questo successo segna un punto di svolta per il gruppo Hayat Tahrir al-Sham. Guidato da Abu Mohammed al-Golani, l’HTS ha cercato negli ultimi anni di riposizionarsi abbandonando la linea dura di al-Qaeda, promettendo pluralismo e tolleranza religiosa.
La comunità internazionale in allerta
La reazione internazionale è stata immediata. Geir Pedersen, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, ha chiesto colloqui urgenti a Ginevra per garantire una transizione politica ordinata. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha espresso preoccupazione per il popolo siriano, mentre gli Stati Uniti, attraverso dichiarazioni del presidente eletto Donald Trump, hanno ribadito la volontà di non intervenire militarmente nel Paese.
Nel frattempo, l’IDF, l’esercito israeliano, ha rafforzato la sua presenza nelle alture del Golan, precisando che le operazioni sono volte unicamente alla difesa dei confini di Israele.
Un futuro incerto
La caduta di Assad rappresenta una svolta epocale, ma non mette fine alle sofferenze della popolazione siriana. Le sfide per il futuro restano enormi: dal vuoto di potere che rischia di innescare nuove violenze alla ricostruzione di un Paese devastato da anni di guerra civile.
La comunità internazionale sarà chiamata a giocare un ruolo cruciale per garantire stabilità, pace e il rispetto dei diritti umani in una Siria che spera di voltare pagina.
redazionefc