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Dal Gemelli l’infettivologo Carlo Torti: Francesco ha dato a noi la cura dei legami

Ai media vaticani la testimonianza del direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’équipe medica che ha avuto in cura Francesco durante il ricovero al Policlinico: “È stato capace di cementare il nostro gruppo, una vera guida, in diverse occasioni ci ha regalato i Rosari dalla Terra Santa perché sempre preoccupato dei bisogni degli altri, non solo della propria integrità fisica. Fino alla fine, ha voluto buttare il cuore oltre l’ostacolo del suo respiro verso il respiro del mondo”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Un vero “polmone” per un mondo lacerato, un “respiro” largo per guardare oltre i ristretti confini delle proprie individualità. Questo è stato Papa Francesco, fino alla fine, e ancor più nelle ultime fasi della sua vita terrena: man mano che il fiato veniva meno e la parola diventava esilissima, si faceva ancora più forte la preoccupazione per gli altri. A confermarlo, fuor di metafora, è anche il dottor Carlo Torti, direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive presso la Fondazione Policlinico Gemelli, professore ordinario di Clinica delle Malattie infettive all’Università cattolica del Sacro Cuore, uno dei membri dello staff medico che ha avuto in cura il Pontefice nel suo ricovero per polmonite bilaterale. Con i media vaticani ripercorre le ultime settimane del Papa, dall’ingresso in ospedale fino all’abbraccio al mondo fatto dal Successore di Pietro nella Domenica di Pasqua.

Ascolta l’intervista al dottor Carlo Torti

“Il Papa è stato una guida per noi medici” 

“Quando arrivò la notizia che ci saremmo occupati del Papa, l’impatto emotivo fu molto intenso su tutti noi. Eravamo chiamati a seguire una persona che rappresentava un fulcro, spiritualmente e moralmente per il mondo intero. Al primo approccio in visita con lui – ricorda il dottor Torti – tutta questa preoccupazione, tuttavia, si risolse, si è stemperata, nella misura in cui anche l’atteggiamento nella sofferenza che lui mostrava nei nostri confronti era quello di qualsiasi paziente che si relaziona in maniera equilibrata con il medico”. L’infettivologo sottolinea l’estremo affidamento al personale ospedaliero: “Anche lui ha molto aiutato il percorso di cure. Siamo stati molto coesi e molto concentrati sui suoi bisogni, non solo fisici ma anche umani. La vicinanza, lo scambio di una stretta di mano, per lui come per tutti gli altri pazienti, è qualcosa di molto importante”. La reciprocità è stata tale che il Papa, spiega il medico, “ha rappresentato anche per noi una guida, con le sue necessità fisiche e psicologiche che, per quanto possibile, si cercava di considerare”.

“Ci ha donato più volte i Rosari dalla Terra Santa”

Torti racconta che in diverse occasioni Francesco ha donato all’équipe del Gemelli un rosario sottolineando, il Papa, che proveniva dalla Terra Santa. Non casuale fu quella precisazione, secondo Torti: “Anche in quei momenti aveva ben in mente le fragilità del mondo. Ciò che mi ha sorpreso è che nei suoi momenti di personale fragilità, lui con questi riferimenti pensasse agli altri, alle persone che avevano più bisogno, sebbene lui di bisogni in quei frangenti ne avesse e lo avvertisse in modo molto acuto. Evidentemente la sua dimensione spirituale era tesa più al prossimo”, prosegue, facendo memoria di quei segnali rivelatori di una personalità, quella di Jorge Maria Bergoglio, aperta costantemente sul mondo: “Una persona che individuava bene le necessità non solo materiali delle persone e cercava di sostenerle in senso globale. Abbiamo perso effettivamente un punto di riferimento in questo mondo che sembra averne sempre meno”, chiosa.

Il Papa, un tessitore di legami, ha cementato l’équipe medica

“A fine giornata ti resta il senso di quello che hai fatto, percepito, dato, più che un evento specifico – confida Torti, – però devo dire che in effetti, ogni volta che si entrava in stanza e si chiedeva di visitarlo, magari inizialmente con una certa circospezione, non ha fatto mai pesare a noi il disagio che gli potevamo arrecare soprattutto nei momenti più impegnativi per lui. Questo è, se vogliamo, anche una sorta di ‘chiarezza’ metaforica che lui ci ha trasmesso. Certo, ci sono stati dei momenti in cui siamo stati molto preoccupati, alcune cadute, però il fatto di avere costituito una équipe, e il fatto che lui stesso la cementava, per noi è stata un po’ una cura. Abbiamo fornito una cura a lui ma lui ha fornito una cura all’intero gruppo. Questo per me è proprio il paradigma del paziente che ha un buon rapporto con le persone che lo curano e ai medici fa anche molto piacere”. Francesco è stato insomma un tessitore di legami fino alla fine, e “forse nel momento più critico della sua salute. Questo vale ben più di un aneddoto perché fa capire il suo spessore e la profondità, anche non convenzionale. Qualcosa che non dimenticherò mai”.

Al Papa stava a cuore il “respiro” del mondo 

Il dottor Torti rimarca quanto il Papa sia stato capace di generare un clima sereno, quasi a voler “smitizzare” la sua persona. Lo manifestò anche nell’udienza in Vaticano concessa il 16 aprile scorso al gruppo di vertici e personale del Policlinico, dell’Università Cattolica e della Direzione Sanità e Igiene della Città del Vaticano: “Appariva come un punto di riferimento al di là della sua autorità, più per la sua autorevolezza. Capisci che i grandi sono tanto più grandi quanto più si abbassano e si fanno capire dalle persone che si interfacciano con loro. Per me questa resta la caratteristica tra le più importanti di Papa Francesco: farsi prossimo e abbassarsi al livello degli altri, anche in momenti in cui uno penserebbe solo alla propria integrità fisica”. Guardando ancora al periodo di convalescenza, la percezione è stata quella di “un paziente certamente attaccato alla vita e al suo valore, ma anche molto disponibile al volere di Dio. È qualcosa che secondo me gli ha dato serenità”. E conclude: “Certamente anche quando aveva dispnea e faceva fatica a respirare, si capiva che il respiro che a lui più interessava non era il suo respiro ma il respiro nel mondo e per il mondo. Il fatto anche di essersi immerso tra la folla era come buttare il cuore oltre quell’ostacolo del respiro suo verso il respiro del mondo”. 



Dal sito Vatican News

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