di Ivano Zoppi
Segretario generale Fondazione Carolina
Dal digital make-up al beauty tourism. Un’evoluzione repentina, sospinta dai social e dalle chat, che racconta il bisogno delle nuove generazioni di rientrare nei modelli estetici imposti dalla Rete. Un bisogno che potrebbe sembrare un capriccio, ma che nasconde la grande difficoltà ad accettare se stessi, il proprio corpo e, forse, la propria identità.
Se prima c’erano solo i filtri delle fotocamere, oggi l’intelligenza artificiale è in grado di creare un distacco insostenibile tra l’immagine veicolata online e il nostro corpo. Una barriera estetica che incide anche sulla personalità e la percezione dei ragazzi, convinti che liberarsi di una caratteristica particolare, come le lentiggini, o una piccola gobbetta sul naso, possa determinare la propria felicità. La bellezza, da elemento soggettivo, diventa un parametro universale e dogmatico che stabilisce popolarità, sicurezza e realizzazione di sé.
Tutto questo meccanismo, nel tempo, ha costruito la base per delegare al mondo online il compito di accogliere le proprie fragilità e risolvere le proprie insicurezze.
Sempre più giovani, anche ultra minorenni, si affidano alla Rete per non doversi mettere in discussione, per l’incapacità di aprirsi con la famiglia o gli amici e rischiare di essere giudicati. Così un’inserzione sui social può rappresentare un’occasione di cambiamento a portata di click. “Un naso nuovo in sole due ore”, così recita una delle pubblicità che viaggiano online e che portano i nostri figli a rivolgersi a perfetti sconosciuti senza le opportune garanzie, scavalcando il proprio medico di fiducia e, soprattutto, a basso costo. E se per i minorenni serve il consenso dei genitori, per il compleanno o per le feste comandate in molti esprimono il desiderio di affrontare un intervento, in Italia o all’estero, di rinoplastica, filler alle labbra, liposuzioni, blefaroplastica, biostimolazioni e altri trattamenti al collagene.
Se lo dicono i social sarà vero, ma siamo certi che tutto quello che viene reclamizzato in Rete rientri nei canoni della legalità? Quali controlli vengono applicati dai gestori delle piattaforme online? Quali verifiche? Come può intervenire il sistema sanitario nazionale? La questione è senza dubbio politica, normativa. La credibilità e la trasparenza sono concetti tutt’altro che “virtuali”, a maggior ragione quando a tutela dei più giovani.
Il fatto che, a seguito della tragica morte di Margaret Spada, le autorità non abbiamo trovato la cartella clinica relativa all’intervento nello studio medico promosso sui social, la dice lunga sull’attendibilità delle informazioni e dei messaggi che arrivano ogni giorno sugli schermi dei nostri figli.
Al di là delle norme, delle inchieste e dei regolamenti, c’è una questione culturale che non possiamo più rinviare. Che futuro immaginiamo per le nuove generazioni?
Se i ragazzi sentono il bisogno di cambiare ciò che la natura ha loro donato, che li caratterizza e li distingue nella loro unicità, quali valori siamo riusciti a trasmettere? Quali strumenti di conoscenza, resilienza e fiducia abbiamo condensato per affrontare al meglio il loro percorso di crescita? Non esistono patenti per diventare genitori, ma se la Rete è lo specchio della società bisogna trovare i giusti anticorpi ad una deriva emotiva che sembra ormai incontrollabile.
Più che il “ritocchino” estetico ai ragazzi serve qualcuno che dica loro “ti voglio bene per quello che sei, non c’è nulla che non va in te“. Nel mondo, fisico o digitale, non esiste clinica o chirurgo che possa competere con la gioia di sentirsi amati e compresi.