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Così ho vinto trecentomila dollari per la mia app


Quando Guido Marangoni, 55 anni, scrittore, comico e ingegnere informatico ha ricevuto la notizia era notte (causa il fuso orario con gli Usa). Ha chiaramente pensato che si trattasse di uno scherzo. Ha aspettato il mattino per capire e scoprire che la mail da parte di Google diceva proprio quello che voleva dire. La sua app Vite vere aveva ricevuto un importante riconoscimento. Importante non solo, come scoprirà in seguito anche economicamente, ma soprattutto perché premia un principio inestimabile, sostenere e promuovere qualunque vita umana. Anche quelle che troppe volte vengono dimenticate.

Da cosa sei partito per svilupparela?
«L’idea è nata grazie a un concorso globale per sviluppatori, in cui bisognava creare un’app utilizzando l’intelligenza artificiale di Google, senza vincoli sul tema. Avevo già da tempo il desiderio di realizzare qualcosa che mostrasse come l’AI possa essere usata per il bene comune e che potesse essere utile nel percorso di autonomia di mia figlia Anna e di tanti altri ragazzi. Ho voluto unire la mia esperienza personale al desiderio di creare un impatto positivo».

Inoltre, l’app si collega al progetto della cooperativa Vite Vere…
«Volevo che fosse più di un semplice strumento tecnologico, ma che avesse un legame concreto con una realtà sociale. La cooperativa Vite Vere di Padova lavora proprio per l’autonomia delle persone con disabilità, quindi è stato naturale connetterla a questo progetto. L’obiettivo è anche quello di dare visibilità al loro lavoro e sostenere le loro iniziative».

 



Che effetto ti ha fatto scoprire che è stata la “più votata al mondo”?
«È stata un’emozione grandissima, quasi surreale! Quando ho ricevuto la chiamata da San Francisco non riuscivo a crederci. Poi Google ha voluto raccontare la mia storia e quella dell’app con un video professionale, e questo ha dato ancora più valore al riconoscimento. Mia figlia Francesca ha scherzato dicendo che avevo vinto l’unico premio “senza soldi”, perché inizialmente mi avevano detto che era stato “semplicemente” il progetto più votato (al mondo). Poco dopo ho scoperto di aver vinto anche il premio “Most impactful app”, cioè la app più impattante sulla vita delle persone, con un riconoscimento economico di 300.000 dollari, che sarà utilissimo per farlo crescere».

Siamo solo all’inizio, cosa vedi nel futuro?
«Il mio sogno è che l’app diventi uno strumento concreto che accompagna e sostiene i percorsi educativi e di autonomia delle persone con disabilità. Non voglio che venga percepita come una “bacchetta magica”, ma come un supporto che valorizza il lavoro di educatori, famiglie e cooperative. Mi piacerebbe che si evolvesse in una piattaforma capace di raccogliere e condividere buone pratiche su scala nazionale, creando una rete di collaborazione tra chi lavora nel sociale».

Quali sono le sfide principali che stai affrontando ora?
«La sfida più grande è rendere l’app sostenibile dal punto di vista economico e tecnico, perché l’uso dell’intelligenza artificiale comporta dei costi importanti. Sto valutando diverse strade, come l’integrazione di un modello di business o la ricerca di partner e finanziamenti. In parallelo, voglio mantenere l’anima sociale del progetto e farlo crescere in modo che rimanga sempre vicino ai bisogni delle persone, senza trasformarsi in qualcosa di puramente commerciale. E poi c’ un altro aspetto che mi sta a cuore…».

Quale?
«Credo che si parli ancora troppo poco dell’autodeterminazione delle persone con disabilità cognitiva. Spesso ci si concentra solo sulle difficoltà o sui limiti, mentre andrebbero approfonditi e valorizzati gli strumenti che favoriscono la loro capacità di fare scelte autonome e di auto gestirsi nella vita quotidiana. Ma la ricerca tecnologica in tal senso è ancora molto carente, a differenza di quella riguardante la disabilità fisica. Invece è un tema importante che coinvolge anche la cultura e l’educazione, e che può fare la differenza nel modo in cui queste persone vengono accompagnate verso una vera autonomia. Proprio per questo nel team e nelle collaborazioni che sto attivando, per mettere in produzione la app e farla crescere, ci sono anche persone con disabilità intellettiva che, con la loro collaborazione e consulenza, risultano davvero preziose».





Dal sito Famiglia Cristiana

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