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Ciao Gpo, maestro di vita e di penna. Mi hai insegnato a vedere il mondo

«Non bene ma andrà benone». L’ultima mail, a Natale. Non rispondeva mai “Non bene” alla domanda «Come va?”, Gian Paolo Ormezzano. E questo mi aveva fatto pensare, temere. Ma il patto non detto tra noi era che non avrei scritto prima quello che, nel gergo cinico dei giornali, si chiama coccodrillo, mai: mi buttassero giù dal letto alle tre di notte, mi sfilassero dalle ferie, da qualunque posto in qualunque momento. Avrei scritto anche dalla luna, quando fosse accaduto, ma prima mai. Non era scaramanzia, semmai la convinzione subcosciente e inverosimile che Gpo fosse nella sua voglia di vita caparbia, connaturato alla vita, insomma immortale. Ci avevamo scherzato ai tempi del suo terzo Covid nell’ottobre 2023: «Non crederai che ti abbia scritto il coccodrillo vero?». Con lui si poteva. Seppelliva in una risata ogni problema di salute, ogni pensiero negativo.

Il 26 novembre scorso, avevamo preso un caffè in via Solferino a Torino, dov’era arrivato a bordo della sua utilitaria: «I figli vorrebbero che non riprendessi la patente… mai avuto un incidente». Era di quelli che a 89 anni compiuti il 17 settembre avrebbe piantato un albero secolare convinto ancora di vederlo fiorire. Pensieri cattivi, no. Non ne aveva, anche se scherzava su tutto e su tutti. Il pensar male è un peccato da cui Gpo era geneticamente immune, caduto da piccolo nella pozione magica della vitalità e dell’ottimismo, amava la vita e aveva fiducia nelle persone. Non per questo era ingenuo. Generoso sì. Ironico e autoironico, guai a chiamarlo maestro anche se lo era nel senso proprio senza atteggiarsi, si veniva sepolti di battute dissacranti.

Sapeva fare e farsi domande. Ma conservava il rispetto della persona. Quando in un’intervista gli domandai che cosa lo trattenesse nel mestiere dallo scrivere una cosa che sapeva, se l’interlocutore gli chiedeva di non farlo: rispose «Un po’ di educazione cattolica, un po’ di educazione al liceo Cavour, un po’ di educazione. La paura di fare del male agli onesti e del bene ai gaglioffi».

Dello sport conosceva tutto, storture comprese ma non ha mai smesso di amarlo. Anche se il suo giornalismo sportivo era rimasto d’altri tempi, quelli degli incontri veri a bordocampo. Del tempo in cui un giornalista torinese a bordo della sua 500 poteva portare a casa il campione olimpico dei 200 metri Livio Berruti, da Roma 1960, e restargli amico, amico vero anche ora che il fisico rendeva difficili le cose a entrambi.  Un altro pianeta rispetto all’era dei social cui non si era mai convertito come spiegò in una frase di neologismi gaddiani, di cui “non uozzappo” era il più spassoso.

Scriveva velocissimo in un flusso continuo, volgendo lo sguardo a chi entrava senza interrompere il calpestio delle dita sulla tastiera. Aveva cultura vera non solo sportiva che disseminava senza parere nei suoi pezzi impossibili da tagliare, perché privi di parole superflue e comunque tutte collegate in un flusso fluviale eppure controllato, mai fuori dagli argini: tagliarlo del resto non serviva. Rispettosissimo delle consegne, mandava sempre 50 battute in meno perché la firma Gian Paolo (rigorosamente staccato) Ormezzano era lunga. Sempre così: che fossero 800 righe, 80, o 8. Sic!  Un lunedì mattina in chiusura di tanti anni fa chiamò come faceva sempre, collaborando per decenni con Famiglia Cristiana e con il Giornalino: «Ciao, buon mattino. Hai uno spazietto per me?».

«Le rubriche sono piene. Salvo una breve da otto righe».

«Me le dai?».

«Scherzi?».

«No».

Ebbe le otto righe che aveva chiesto, che per chiunque del suo calibro sarebbero state lesa maestà, riuscì a citarvi anche un poeta (senza dirlo: chi sapeva avrebbe colto, chi non sapeva avrebbe letto una buona notizia sportiva, senza complessi di inferiorità) e c’era il posto per la firma. Ma non è mai stato al gioco del semplicismo: «Se uno che non legge altro leggendo il mio calcio e il mio ciclismo impara una parola, avrò fatto qualcosa di utile».

Scrivere gli piaceva da impazzire, lo ha fatto fino all’ultimo giorno. Nemmeno una mail qualunque era qualunque con lui. Il Toro era ancora una grande passione: a casa sua per la prima volta, mi mostrò due copie di tele di Botero. «Devi indovinare perché sono queste». Ovviamente falli il test: «Sono gli unici due in cui vince il toro». I matadores in effetti avevano la peggio. Il mio primo 4 maggio in redazione a Fc, chiamandomi da Torino, dove era sempre stato, domandò a bruciapelo:

«Che giorno è oggi?»

Mumble, mumble.

«CHE GIORNO È OGGI?». Urlò fingendo severità.

Mumble Mumble. 

«CHE GIORNO È OGGI? 4 MAGGIO ’49».

La tragedia di Superga.

«Ti sei salvata».

E poi rise del mio spavento.  Avrei ricambiato poco dopo, spedendogli da Siviglia un torellino di pezza accompagnato da una letterina in cui la bestiolina chiedeva asilo politico a casa sua qualificandola come: «Il posto più sicuro al mondo».

Non sapevo ancora che sarebbe stato un maestro di quelli veri, che ti chiamano per dirti questo mi è piaciuto, e anche per dirti io questo l’avrei fatto diversamente spiegando il motivo. Era un collaboratore esterno: andava contro il suo interesse crescere qualcuno. Ma Gpo non aveva di questi problemi. E infatti lo chiamano maestro in tanti, mentre lui da lassù li manda allegramente a spasso.

Diranno in tanti in questi giorni che è stato un bravissimo giornalista e una bellissima persona. È vero. Dei tempi della direzione di Tuttosport diceva che la cosa che gli riusciva più difficile era rimproverare qualcuno. Preferiva vedere il mondo e raccontarlo. Il suo giornale era colto, ironico e garbato, un po’ fuori tempo già allora,  lo sarebbe stato di più di questi tempi. Non fuori dal mondo però, perché stare al mondo gli piaceva da pazzi. Anche col bastone. Diceva che le migliori chiacchirate le aveva fatte con Michel Platini (Juventino!): «Mai parlato una volta di calcio».

Ciao Gpo, io lo so dove sei ora: hai certo rimesso al suo posto il mattone del vecchio Filadelfia che tenevi in macchina. C’è una formazione che si sta schierando: Bacigalupo, Ballarin, Maroso…

Misure libere stavolta, Gpo, scrivi quanto vuoi





Dal sito Famiglia Cristiana

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