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Che cos’è l’indice giustizia ambientale di Mani tese e perché è importante

Una mappa interattiva, un lungo accurato lavoro, una chiave di lettura in più per capire lo stato di salute, fisica e civile, del mondo che abitiamo. Potremmo sintetizzare così l’esito del complesso lavoro che ha portato Mani Tese a presentare l’indice di giustizia ambientale, – Environmental Global Index, realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo e in collaborazione con Università degli Studi di Milano, Politecnico di Milano ed eNextGen.

Il modello è simile a quello dell’indice mondiale della libertà di stampa (World Press Freedom Index) di Reporter sans Frontières. Sulla carta geografica, come in altre mappe interattive, che può essere spostata nel tempo per vedere l’andamento negli ultimi anni, il verde brillante indica i Paesi più virtuosi, il rosso quelli in fondo alla classifica. In mezzo una scala che vira dal verde chiaro al marrone rossiccio mostra le gradazioni intermedie.


Giustizia ambientale e giustizia climatica, qual è la differenza

La giustizia ambientale è un concetto complesso che non si esaurisce nell’attenzione di un Paese all’ambiente ma chiama in causa altri fattori: dai diritti umani, alla diseguaglianza sociale, perché non si occupa solo di ambiente ma di interazione uomo-ambiente e del loro reciproco benessere.

Il primo rapporto pubblicato contestualmente al lancio dell’Index, e relativo al settore tessile, tra quelli che hanno maggiori ripercussioni sia sul piano ecologico che social il loro impatto ambientale e per il fatto di essere spesso associate a condizioni di lavoro precarie e pratiche di sfruttamento, ricostruendo la storia del tema, definisce così la giustizia ambientale: «Si concentra sulla riduzione delle disuguaglianze derivanti dall’accesso diseguale alle risorse naturali, dalla distribuzione iniqua dei danni ambientali e dal coinvolgimento delle comunità vulnerabili nelle decisioni riguardanti la gestione dell’ambiente».

La distingue dalla giustizia climatica, che in parte vi si interseca, e che invece: «si concentra sugli impatti del cambiamento climatico, ponendo l’accento sulla responsabilità storica, sulle disuguaglianze nell’emissione di gas serra e sulle differenti capacità di adattamento tra paesi sviluppati e del Global South».

«La prima riflessione che ha guidato il lavoro», si legge nella sezione del Rapporto che descrive la costruzione dell’Indice, «è stata quella di ridefinire il concetto di giustizia ambientale attraverso due principi fondamentali: responsabilità (chi fa) e danno (chi subisce). Questi due principi sono stati analizzati sempre nella prospettiva paese, ovvero considerando come ogni nazione contribuisce ai problemi ambientali globali e, allo stesso tempo, come ne subisce le conseguenze. Questa dualità ha permesso di costruire un indice più equilibrato, capace di catturare non solo l’impatto ambientale di un paese, ma anche la sua vulnerabilità ai cambiamenti climatici e ai disastri ecologici. In particolare, l’approccio è stato strutturato attorno a due prospettive fondamentali, che sono diventate il punto di partenza della costruzione dell’indice»

LA doppia prospettiva dell’Indice

  

Il “cosa si fa” «misura il contributo di un paese all’aumento delle esternalità negative sulle dimensioni della giustizia ambientale, cercando di quantificare l’impatto che ha sul sistema. Qui sono stati considerati fattori come le emissioni di gas serra, la gestione di rifiuti, l’uso di risorse fossili e le politiche associate». Il “Cosa si subisce” «valuta la vulnerabilità e l’esposizione di un paese ai danni ambientali e climatici, cercando di quantificare l’impatto che subisce. Sono stati analizzati indicatori come il numero di specie a rischio, i danni da disastri climatici, e gli eventi irrisolti di ingiustizia ambientale». Queste due prospettive, spiega il Rapporto, «sono state ulteriormente articolate in tre dimensioni chiave, che riflettono non solo gli aspetti ambientali, ma anche quelli sociali ed economici legati alla giustizia ambientale».


Quali sono i parametri considerati

Nelle dimensioni valutate si riconosco le priorità di Mani Tese: sostenibilità, diritti umani e beni comuni. La “sostenibilità”, «valuta le azioni di un paese in termini di riduzione delle emissioni, gestione dei rifiuti e investimenti in energie rinnovabili e in fonti fossili». Nei “diritti umani “«sono stati inclusi indicatori come la qualità dell’aria, la gestione delle foreste protette e l’accesso all’istruzione. L’obiettivo è valutare come le responsabilità e i danni ambientali impattino sulla qualità della vita e sui diritti fondamentali delle persone». Mentre la componente “beni comuni” «si concentra sulla perdita di biodiversità, gli impatti climatici e i conflitti ambientali. Questa dimensione permette di analizzare come l’ambiente, inteso come bene comune, sia minacciato dalle attività umane e dai cambiamenti climatici».

 

Ambiente, persone, diritti, economia: fattori interdipendenti

  

Quanto tutti questi fattori siano interdipendenti lo si vede del resto consultando la mappa interattiva: non è un caso che il verde brillante sia una costante soltanto in Europa occidentale, Canada e Guinea Francese, le parti del mondo che, con tutte le loro difficoltà ancora, meglio rispetto ad altre realtà, coniugano sviluppo economico, istituzioni democratiche, welfare state, diritti civili.  





Dal sito Famiglia Cristiana

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