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Cercas: in Francesco vedevi innanzitutto il prete

Il ricordo dello scrittore spagnolo, autore del libro dedicato al viaggio del Papa in Mongolia

Andrea Tornielli

«Dopo il primo momento in cui dici sì, questo è il Papa, nella conversazione personale ti accorgevi che prima di tutto quest’uomo era un prete…». Sono le parole dello scrittore spagnolo Javier Cercas, dichiaratamente agnostico, autore del libro “Il folle di Dio alla fine del mondo”, che racconta il viaggio di Francesco in Mongolia. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per chiedergli come ha reagito alla notizia della morte del Papa.

«Ovviamente sono stato sorpreso, perché credevo, come forse tutto il mondo credeva, che Francesco fosse ormai fuori pericolo. Appena il giorno prima era uscito in Piazza San Pietro! Ho sentito come se fosse morto qualcuno di molto prossimo a me: è la verità. Mi dispiace tanto».

Cercas ricorda il senso di paternità che infondeva in chi lo incontrava: «Era un Papa che riconosceva i propri errori, che non nascondeva i suoi difetti, che si mostrava come un uomo e dunque poteva essere un padre per tanta gente. Certo, ci sono anche cattolici i quali pensano che il Papa debba essere quasi, “semidivino”. Io però credo che il Papa sia innanzitutto un uomo. Pietro era un uomo. Il primo Papa è stato un uomo con tanti difetti che ha tradito tre volte Cristo. La Chiesa è il posto dei deboli, dei peccatori».

Lo scrittore sottolinea l’importanza di questo riconoscimento: «È come se avesse detto: io non sono Superman, sono una persona. Voglio ricordare che la prima cosa detta da lui nella Cappella Sistina dopo aver accettato l’eccezione è stata: “Accetto anche se sono un peccatore”. Questa coscienza della sua umanità, della sua debolezza, per me è straordinario. Per me di Papa Francesco si può dire ciò che Anna Harendt ha detto di Giovanni XXIII: è un cristiano seduto sul trono di San Pietro. E la sua prossimità è parte di questo. È stato un uomo capace di fare cose straordinarie, che nessuno aspetta da un Papa. E io ho vissuto queste cose. La fine del mio libro, se fossi un credente come il Papa e come mia mamma, direi che è un piccolo miracolo».

Cercas ricorda il colloquio avuto con Francesco sul volo diretto in Mongolia: «C’è un momento nel libro in cui mia mamma, che era profondamente credente, mi chiede: ma che cosa hai pensato del Papa? Com’è il Papa? Mia mamma era già molto vecchia, la sua salute non era buona. La prima cosa che mi è venuta in mente è stato rispondere: è come Don Florian, cioè come il suo prete, il suo parroco, che l’ha sposata con mio padre. La prima impressione sul Papa – dopo un primo momento in cui dicevi sì, questo è il Papa – era che prima di tutto in quest’uomo vedevi un prete. Prima di tutto era un prete, e dopo era anche tante altre cose: un uomo molto intelligente, con una grande cultura, con una grande esperienza».

Per lo scritto a colpire era innanzitutto «l’umiltà, questa umiltà di un uomo semplice, anche se lui era uomo complesso. È straordinario per me il fatto che questo sia il primo Papa che si è chiamato Francesco. Papa Bergoglio ha scelto questo nome e la prima virtù di Francesco di Assisi è proprio l’umiltà. Sapere che siamo piccolissimi, che abbiamo la nostra dignità umana, ma che siamo poca cosa».

Infine, Cercas mette l’accetto su quello che considera il principale insegnamento che Francesco ci ha lasciato. «Francesco nella Chiesa ha portato una “rivoluzione”. Tutto però dipende dal senso che si dà questa parola. È ridicolo dire che ci sia stata una “rivoluzione dottrinale”: questo è semplicemente falso, anche se c’è gente che lo dice. Ma se è stata una “rivoluzione”, e forse lo è, si è trattato di quella indicata dal Concilio Vaticano II. Francesco è il primo vero figlio del Concilio che è diventato Papa. Ha preso sul serio quello che diceva il Vaticano II, cioè ritornare alla Chiesa di Cristo, alla Chiesa primitiva. Nella sua prima intervista su La Civiltà Cattolica, alla domanda su che cosa volesse fare nella Chiesa, la risposta del Papa è stata inequivocabile: voglio fare uscire Cristo dalle sacristie e portarlo nelle strade. Cioè ritornare al cristianesimo di Cristo». Lo scrittore, proprio durante il viaggio in Mongolia, ha avuto modo di incontrare alcuni radicali rivoluzionari del Vangelo: «Questo ritorno a Gesù Cristo, secondo Francesco e anche secondo me, si incarna nella forma migliore nei missionari. I cristiani ideale per Francesco credo siano i missionari, come li abbiamo visti in Mongolia: gente che abbandona tutto, come hanno fatto gli apostoli di Cristo, e vanno alla fine del mondo per aiutare la gente che ha bisogno. Questa è la radicalità del messaggio di Cristo. Gesù non era un uomo di potere, non era un uomo di ricchezza, ma un uomo che andava con i poveri. Per me questo è fondamentale: la critica al clericalismo, la critica al costantinismo, il ritorno al cristianesimo. Francesco è stato un Papa che ha preso questo sul serio e la sua è una riforma che non è ancora finita».



Dal sito Vatican News

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